La nuova norma della legge di Bilancio incentiva la contribuzione facoltativa al primo pilastro, minando la previdenza complementare. Un cattivo affare per i giovani
Tito Boeri e Mario Padula, in un commento su Repubblica, hanno avvertito sui rischi di una norma della legge di Bilancio, che offre la possibilità ai lavoratori assunti dal 1° gennaio 2025 di versare all’Inps una contribuzione volontaria fino al 2 per cento (di cui la metà è deducibile dall’Irpef). La norma rimanda a un decreto del ministero del Lavoro e del Mef per i dettagli attuativi. Ci muoviamo, quindi, in un territorio ancora indefinito.
L’ipotesi dei due economisti, che hanno guidato rispettivamente l’Inps e la Commissione di vigilanza sui Fondi pensione (Covip), è che così l’Inps oltre a gestire il “primo pilastro” (la previdenza obbligatoria basata su un sistema a ripartizione: i contributi dei lavoratori di oggi pagano gli assegni dei pensionati di oggi) entrerà anche nel “secondo pilastro” (la previdenza complementare basata su un sistema a capitalizzazione: i contributi dei lavoratori di oggi vengono investiti per diventare la loro pensione integrativa di domani).
L’obiezione Boeri e Padula è che l’Inps è capace di gestire un sistema a ripartizione, ma non ha le competenze per gestire un fondo a capitalizzazione, come dimostra la storia fallimentare di FondInps (il fondo residuale che raccoglieva il Tfr inoptato dei lavoratori). Le altre obiezione sono che il rendimento del nuovo fondo Inps potrebbe essere fissato per legge (in maniera anticoncorrenziale e anche insostenibile) e che gli investimenti potrebbero essere politicamente orientati, mettendo a rischio le rendite future. Boeri e Padula descrivono in sostanza una proposta avanzata nella scorsa legislatura dall’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico: in pratica il governo Meloni realizzerebbe una pessima idea che il M5s, per fortuna, non è riuscito a mettere in pratica.
Ma questa norma è così vaga che ha un’altra interpretazione possibile: non un nuovo fondo dell’Inps, ma un rafforzamento volontario del primo pilastro. I nuovi lavoratori possono versare più contributi per aumentare il proprio montante e avere dall’Inps una pensione più corposa. Questa opzione, per quanto facoltativa, non è meno problematica. Innanzitutto, i contributi obbligatori in Italia sono già i più alti al mondo (33 per cento) e incentivare la contribuzione volontaria allo stesso sistema, di fatto, mina il secondo pilastro che dovrebbe essere un elemento importante del sistema previdenziale. La logica, anche in questo caso, come sottolineato da Boeri e Padula per l’altra ipotesi, si distacca dalla diversificazione del rischio in quanto pure il primo pilastro è soggetto a incertezze come la demografia e la crescita del pil da cui dipende la rivalutazione del montante.
Davvero non se ne capisce la ratio. Anche perché la contribuzione volontaria all’Inps fino al 2 per cento ha una deducibilità dimezzata, a differenza di quella ai fondi pensione che è integrale fino a 5.164,57 euro (molto più del 2 per cento del salario). È quindi lo stesso legislatore a non credere fino in fondo alla propria norma, come peraltro dimostra il fatto che non sia accessibile a tutti i lavoratori nel timore, da parte della Rgs, che ci sia un impatto sui conti pubblici nel breve termine.
È improbabile che i nuovi lavoratori verseranno contributi aggiuntivi all’Inps e proprio questo è l’aspetto positivo di una cattiva idea: il fatto che si rivelerà inutile. Resta, però, il messaggio implicitamente negativo nei confronti della previdenza complementare che, invece, dovrebbe essere incentivata proprio tra i giovani, che riceveranno dall’Inps una pensione con un tasso di sostituzione molto più basso di quello attuale.