Mentre divampa Los Angeles brucia anche il sogno della California. E’ il turno della Florida trumpiana?

Mentre continuano gli incendi a Los Angeles Trump dovrà decidere se mollare l’amata Florida e tornare alla Casa Bianca (o magari trasferirà la sede definitivamente a Mar-a-Lago). Ma tra Florida e California sono due mondi a parte e due posti a parte nella cultura americana (seppur con tante similitudini)

Mentre i morti degli incendi californiani salgono a 25, e i danni a 250 miliardi, si riscalda anche l’immancabile polemica politica. Il presidente Trump accusa il governatore della California Gavin Newsom di essere “unfit”, e Newsom risponde che il presidente specula sulle disgrazie. Newsom ha contro di sé uno scarso tempismo, perché nei giorni precedenti l’incendio (quello reale, non quello politico) si era più volte espresso contro Trump, dicendo che la California farà tutto ciò che è in suo potere per disapplicare le leggi che arriveranno dalla nuova Casa Bianca e specificamente su temi come i diritti, l’aborto, l’ambiente, l’immigrazione. Adesso però Newsom ha bisogno della nuova presidenza per riprendersi da quello che è uno dei disastri più giganteschi che abbiano colpito gli Stati Uniti. Come sempre, quando l’amministrazione locale è di un colore e quella centrale di un altro, non va benissimo (l’Emilia-Romagna è un po’ la California d’Italia, col cibo buono i diritti i soldi e la gioia di vivere, e si vede com’è andata con le inondazioni e i “ristori”).

Proprio ieri il sito Politico.com rivelava che Newsom ha messo a punto un fondo anti Trump da 50 milioni di dollari, soldi che serviranno a future cause tra lo stato centrale e la California. Il fatto è che non potrebbero esserci due esseri umani più diversi di Trump e Newsom (oddio, dipende). E gli Stati che rappresentano pure, dando ormai per scontato che Trump “è” la Florida, stato da cui sembra non volersene più andare, dando anche tutta una connotazione balneare alla sua presidenza.

La Florida è infatti diventato il suo campo base, di Trump e del suo circo, è la sua Casa Bianca versione Valtur dove prima o poi passano tutti, da Javier Milei a Giorgia Meloni, open bar e la sera tutti a guardare i suoi documentari celebrativi come gli ospiti a villa Certosa un tempo a subire le barzellette del Cav. La presenza di Trump in Florida ha oscurato quella del suo governatore Ron DeSantis, tutto attaccato, paladino anti woke, che ha litigato con la Disney per via delle sue sirenette nere, che ha varato la legge “don’t say gay”, cioè non si possono dire fare baciare cose gay nel suo stato nelle scuole; mentre in California c’è la capitale gay mondiale, San Francisco, e il governatore, appunto il democraticissimo Gavin Newsom, con moglie attrice già vittima del #metoo, appartiene a una dinastia democratica legata ai Getty (i petrolieri fondatore di due degli avamposti a rischio a Los Angeles, la villa simil-romana e il Getty Center costruito da Richard Meyer).

Sono due destini paralleli, DeSantis era un possibile candidato repubblicano alle scorse presidenziali, mentre Newsom lo sarebbe per i Dem alle prossime, anche se per un attimo entrò in lizza quando ci fu da sostituire in corsa Biden dopo il primo disastroso dibattito televisivo.


Newsom vestito come i californiani, smanicato centogrammi e capelli all’indietro che sono ormai centrali nel dibattito pubblico quasi quanto quelli di Trump. Già tre anni fa DeSantis disse del rivale che tutto quel gel tra i capelli interferiva col cervello; Newsom rispose che lui abuserà del gel, ma DeSantis della lacca. Due mondi, ancora una volta: se Newsom è un californiano che dimostra meno della sua età e sicuro farà yoga e “hiking”, DeSantis ha un faccione da repubblicano di una volta, un po’ Soprano (ha lontane origini tra L’Aquila e Avellino), col vestitone delle feste. La botta finale sul gel l’ha data Mel Gibson l’altro giorno, dicendo che Newsom dovrebbe spendere meno in gel e più in prevenzione antincendi. L’ha detto non in un posto qualunque ma da Joe Rogan, il Cruciani americano, al podcast dove tutti i maschi bianchi vanno a confessarsi, uscendone ritemprati e rimascolinizzati in questo lavacro per il pòro etero che è la non ancora iniziata presidenza Trump; lo stesso podcast dove è andato pure Trump e che forse ha contribuito alla sua vittoria. Californiano anch’egli, Rogan odia Newsom, sostiene che sta facendo un lavoro pessimo e distruggendo la California. Mentre era da lui Mel Gibson ha detto che non sapeva se avrebbe trovato in piedi la sua casa losangelina al suo ritorno (spoiler: non l’ha trovata in piedi).

Insomma, lacca o gel, per i Democratici è un disastro politico. “Come a San Francisco”, ha detto Gibson. Le due città, Los Angeles e San Francisco, oltre a essere due fantastici bersagli dei repubblicani, una doppia Bibbiano, una con Hollywood e le odiate star progressiste, l’altra con la Silicon Valley un tempo progressista ma che ora si sta riposizionando con una velocità da viale Mazzini, hanno anche la caratteristica di avere avuto la prima sindaca nera e donna della loro storia. A San Francisco London Breed, appunto prima donna e nera, spazzata via in recenti elezioni in favore di un bianco erede della Levi’s che si è appena installato, non di destra (non esageriamo) ma “progressista indipendente”, un po’ alla Conte; quella di Los Angeles, Karen Bass, prima donna nera pure lei, eletta tre anni fa, responsabile di aver tagliato i fondi ai vigili del fuoco, e che in questi giorni ha avuto la jella di trovarsi in un viaggio ufficiale in Ghana. Queste due, che dovevano essere la coda lunga di una stagione fiorente che i detrattori chiamano woke, son diventate due sfortunate fuori tempo massimo, due meteore.

Intanto Trump se la ride ma tra un po’ gli toccherà mollare l’amata Florida e tornare alla Casa Bianca (o magari trasferirà la sede definitivamente a Mar-a-Lago). Ma tra Florida e California, proprio due mondi a parte e due posti a parte nella cultura americana (seppur con tante similitudini). Due stati costieri, ma due coste molto diverse: la California di Newsom è lo stato più popoloso, più ricco, più avanzato, e da sempre è governato dai Democratici; la Florida da 35 anni elegge governatori repubblicani, del Grand Old Party di cui è diventata appunto l’epicentro. Stereotipi: due stati di surfisti ma da una parte magari esuli cubani, dall’altra hippy; da una parte bancarottieri o pregiudicati, dall’altra vegani e attivisti; col Covid la California aveva il lockdown e la Florida di DeSantis si raccontava invece come il paradiso dell’antivaccino e dell’antimascherina; in Florida accorrono tradizionalmente medici ebrei che vanno a svernare sognando la pensione infinita, in California fricchettoni di ogni dove che sognano o sognavano di cambiare il mondo. Grandi università californiane contro zero tasse sui redditi in Florida; Oceano Pacifico spesso gelato con foche in California, Atlantico tiepido in Florida. Deboscio déco coi grandi alberghi a Miami, deboscio déco a LA ma senza spiaggia (a proposito, lo Chateau Marmont offre i suoi leggendari cottage gratis ai vigili del fuoco che si sono impegnati in questi giorni).

E ancora: l’umidità micidiale della Florida contro il clima secco della California (forse quello che mantiene giovani). Miami, ricchi un po’ cafonal, Miami Art Basel, Versace assassinato, “Miami Vice” e poi le divorziate rifatte di Palm Beach, botox e le siepi più perfette d’America. Siepi che non differiscono molto però da quelle per esempio di Santa Barbara dove si sono rifugiati Harry e Meghan che in questi giorni escono fuori a portare ristoro alle folle come se fossero dei veri reali nell’Inghilterra sotto le bombe naziste (e vengono chiaramente spernacchiati). Però la California è molto altro, montagne, foreste, laghi, sportività, diritti, Silicon Valley, mentre la Florida è Hemingway, e “masculine energy”, quella che piace tanto a Mark Zuckerberg ultimamente (e c’è chi dice che la svolta machista, il suo momento Papeete, palestratura, capello al vento, collanona come un Tony Effe di Palo Alto presupponga un prossimo divorzio). Poi altre similitudini, molti siliconvallici sono scappati negli ultimi anni, soprattutto per il Covid (in Florida c’era poco lockdown e si son trovati bene e sono rimasti, portandosi un po’ di Silicon Valley). Con strascichi di nuove industrie, nuovi business, nuovi “ecosistemi” per esempio quello delle criptovalute, visto che Miami ospita ogni anno il fondamentale raduno della “Bitcoin conference”. Insomma, se vogliamo considerare Trump il mondo nuovo, questo alberga sicuramente in Florida e non in California. Del resto se un tempo il cap più prestigioso d’America, lo “zip code” dei più ricchi era il 90210 poi diventato proverbiale di Beverly Hills California, nel 2022 il primato passa alla meno nota Fisher Island, al largo di Miami. Sono paradossalmente due stati molto colpiti entrambi dalle calamità naturali: come se la natura che molto ha dato a questi due luoghi leggendari, molto si diverta a togliere; se in California abbiamo imparato che ci sono incendi e terremoti, in Florida imperversano gli uragani. E lì, poco conta se si è democratici o repubblicani, e se è lacca o se è gel.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

Leave a comment

Your email address will not be published.