La ragione principale dell’impasse sull’elezione dei giudici costituzionali va rintracciata sul nome proposto dal partito di Tajani, a causa di opposizioni sia esterne sia interne al partito stesso
E’ attorno al nome proposto da Forza Italia che si è inceppata l’intesa tra i partiti per l’elezione dei quattro giudici mancanti della Corte costituzionale di nomina parlamentare. La votazione al Parlamento in seduta comune si è conclusa oggi con l’ennesima (la tredicesima) fumata nera. Le trattative proseguono: in caso di accordo, la conferenza dei capigruppo potrebbe decidere di riunire di nuovo il Parlamento giovedì.
La versione ufficiale fornita dalla maggioranza è questa: “Sui tre nomi indicati dai partiti c’è l’accordo, si sta ancora lavorando sul nome condiviso”. Questa posizione, tuttavia, si scontra con il detto e il non detto che circola per i corridoi della Camera. Il detto proviene da una fonte autorevole interna a Forza Italia (già prima che dai vertici giungesse l’indicazione a tutti i parlamentari di votare scheda bianca): “Non c’è ancora l’intesa sul nome proposto dal nostro partito”. Il non detto, che conferma quanto appena riportato, giunge dalla responsabile Giustizia e deputata Pd, Debora Serracchiani: “Il centrodestra dice che per la Consulta l’accordo c’è su tutto tranne che sul quarto nome, quello condiviso? A me non sembra proprio così, vediamo come va e speriamo vada bene. Secondo me non siamo lontani dal trovare l’accordo”.
A dispetto dei tentativi di minimizzare l’ennesima intesa fallita, come anticipato ieri su queste pagine la ragione principale dell’impasse sulla Consulta va rintracciata proprio sul nome proposto dal partito di Tajani, a causa di opposizioni sia esterne sia interne al partito stesso.
Fratelli d’Italia e Partito democratico hanno le idee chiare: FdI propone per la Consulta Francesco Saverio Marini, professore di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata e attuale consigliere giuridico del governo, considerato il “padre” del premierato; il Pd, dopo interlocuzioni con gli altri partiti di opposizione, propone il nome di Massimo Luciani, professore emerito di Diritto pubblico dell’Università La Sapienza di Roma.
Restano ancora vuote la “casella” riservata a FI e quella assegnata all’ormai famoso “quarto nome”, cioè un candidato condiviso da tutti i partiti e che abbia un’estrazione politica “neutra”. Le due caselle risultano in realtà strettamente connesse fra loro. Da settimane per il candidato in “quota FI” circolano i nomi dell’attuale viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, e del senatore Pierantonio Zanettin. Se eletto, però, Sisto sarebbe costretto a dimettersi anche dalla carica di senatore, mettendo a rischio un seggio oggi in mano alla maggioranza. Alle eventuali elezioni suppletive nel collegio di Andria potrebbe infatti candidarsi Michele Emiliano, governatore della Puglia in scadenza e già al secondo mandato, con ottime possibilità di vittoria.
L’ipotesi di eleggere Zanettin, invece, non solo non avrebbe il pieno consenso di tutte le correnti interne a Forza Italia, ma sarebbe anche oggetto di perplessità da FdI e dalle opposizioni, per la presunta inopportunità di mandare un parlamentare alla Consulta. Anche se la conoscenza delle dinamiche parlamentari e del processo formativo delle leggi da parte di deputati e senatori potrebbe essere ritenuta una qualità positiva (non a caso numerosi giudici costituzionali sono stati eletti dopo aver rivestito la carica di parlamentare, basti pensare all’ex presidente della Consulta Augusto Barbera o anche all’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella).
Di fronte a queste perplessità, comunque, nel vertice della maggioranza tenutosi lunedì pomeriggio tra Meloni, Tajani e Salvini, il leader di FI avrebbe posto sul tavolo anche il nome di Gabriella Palmieri Sandulli, avvocata generale dello stato. Quest’ultima, però, ha ottenuto il prestigioso incarico nel 2019 su proposta dell’allora premier Giuseppe Conte. Da qui – si vocifera – il sospetto in FdI che dietro la proposta Sandulli si celi addirittura un patto tra FI e M5s in vista della nomina del nuovo presidente Rai. I forzisti avrebbero così proposto anche il nome di Andrea Di Porto, docente all’Università La Sapienza di Roma, in passato avvocato di Silvio Berlusconi e di Fininvest.
Nel caso in cui i partiti raggiungessero l’intesa, il Parlamento potrebbe riunirsi già giovedì, nel tentativo estremo di eleggere i quattro giudici in tempo per l’udienza della Consulta di lunedì, dedicata all’ammissibilità del referendum abrogativo della riforma sull’autonomia differenziata.