La nuova Commissione sta per lanciare il Competitiveness Compass. Poi, il 26 febbraio, il Clean Industrial Deal affronterà i punti più dolenti. Servono anche semplificazione e regole diverse per gli appalti pubblici. La sfida Séjourné-Ribera
Quarantacinque giorni col fiato sospeso. Tutte le Confindustrie europee hanno compiuto negli ultimi mesi uno sforzo comune senza precedenti per spiegare in lungo e in largo ai vertici europei che la crisi dell’industria europea non è mera congiuntura. È così dalla fine del modello tedesco basato su gas russo e forte presenza in Cina, il frutto di decenni di ritardo della politica europea, mentre Cina e Stati Uniti correvano e acceleravano su investimenti in tecnologie di punta. Infine, si sono aggiunti gli errori gravissimi compiuti dalla Commissione sotto la prima presidenza von der Leyen. Ora è il momento di capire che cosa davvero la nuova Commissione risponderà alle molte e pesanti richieste dell’industria europea.
Si comincia la prossima settimana, in cui dovrebbe vedere la luce un primo documento generale di priorità, il Competitiveness Compass, su tappe e obiettivi del recupero di competitività rispetto ai tanti fattori che oggi spiazzano l’industria europea: costo dell’energia, dipendenza sulle materie prime essenziali, bulimica iper regolazione europea su ogni aspetto delle produzioni. Il velo dell’incertezza cadrà del tutto il prossimo 26 febbraio, quando la Commissione presenterà una delle promesse più importanti annunciate da von der Leyen, il Clean Industrial Deal, nel quale affrontare i punti più dolenti degli errori compiuti negli ultimi anni. In testa a tutti, quelli collegati al Green Deal, agli Emissions Trading System, al Carbon Border Adjustment Mechanism, che hanno messo in ginocchio l’industria dell’auto e spingono fuori mercato i settori energivori come siderurgia, metallurgia chimica, carta, vetro.
A lavorare a Bruxelles sul documento sono gli uffici sotto la guida del vicepresidente Stéphane Séjourné che ha la delega all’Industria, e quelli per la transizione verde e la concorrenza che fanno capo alla vicepresidente Teresa Ribera. La presidente della Commissione si riserva l’ultima parola. Perché non è un mistero che Séjourné e Ribera non la pensino allo stesso modo.
L’industria europea tifa per Séjourné, che in questi mesi ha sviluppato una rete diretta di confronto con tutte le maggiori confindustrie europee nonché con i ministri dell’Industria di Italia, Francia, Germania e Spagna. Mentre Ribera in diverse interviste ha duramente replicato a chi chiedeva di cambiare tappe e obiettivi della riduzione delle emissioni, o di diluire nel tempo il bando ai motori endotermici fissato al 2035 con tappe impegnative che cominciano proprio dal 2025 appena iniziato, e prevedono multe per miliardi ai produttori europei che non vendano abbastanza elettriche, come se non fosse il mercato a respingerle.
Ribera resta una socialista intransigente indisponibile a riconoscere che il “pacchetto Timmermans” è stato gravato da errori ideologici, a cominciare dall’abbandono della neutralità tecnologica. La carriera della socialista Ribera, prima come alto funzionario pubblico e poi come ministra dei governi Zapatero e del governo Sánchez, è tutta rigorosamente iscritta nel cerchio dell’ambientalismo militante. Sèjourné è un quarantenne cresciuto tra i giovani socialisti riformisti pro mercato di Dominique Strauss-Kahn, economista che nei governi francesi socialisti faceva da ponte con industria e finanza. E quando Strauss-Kahn venne travolto da uno scandalo sessuale rivelatosi poi infondato, Séjourné col suo gruppo puntò sin dall’inizio sulla rivoluzione liberale di Macron, diventandone consigliere economico, poi europarlamentare e capogruppo di Renew, segretario generale dei macroniani e infine il più giovane ministro degli Esteri della storia francese.
Séjourné agli industriali e in interviste ha annunciato un piano di emergenza per le filiere in maggiori difficoltà, nell’ambito di una strategia a lungo termine per tutti i settori industriali. Con fondi ad hoc per la competitività di industrie energivore come l’acciaio, l’auto, l’alluminio, la metallurgia e il cemento. Aggiungendo che dopo il Clean Industrial Deal serve in fretta un Omnibus Act di radicale semplificazione normativa. Nonché regole diverse per gli appalti pubblici rafforzando il favore a prodotti e servizi Made in Europe. E infine, entro giugno, la nuova strategia per il mercato unico nei troppi settori in cui in Europa in realtà oggi non esiste ancora. Uno sforzo erculeo. In cui è netta l’impronta di Mario Draghi. E da cui si capirà anche se von der Leyen accoglie davvero l’appello che viene dai Popolari e Liberali europei e dal suo ex partito in Germania, l’appello ad ascoltare una volta per tutte gli industriali per non trasformare una crisi strutturale in un declino epocale.