Un giornale pubblica dettagli segreti sulla detenzione della nostra giornalista e attribuisce l’origine ai Ros, che non erano delegati a interrogarla. Sconforto all’Aise. Finisce l’idillio di prudenza e cautela
Ieri mattina sono apparsi su un quotidiano italiano alcuni dettagli relativi alla prigionia di Cecilia Sala, alle sue condizioni detentive e alle condizioni generali dei prigionieri nel carcere iraniano di Evin, racconti che la giornalista del Foglio aveva consegnato mercoledì ai carabinieri del Ros i quali li avevano raccolti in una deposizione il cui contenuto è coperto da segreto oltre a essere considerato materiale sensibile dai nostri servizi segreti. Le urla, le bende, le fonti a Teheran.
Se Cecilia Sala avesse raccontato lei a qualcuno quelle stesse cose, mettiamo al Foglio che l’ha intervistata venerdì o a Mario Calabresi che l’ha intervistata per Chora Media, se Cecilia avesse parlato persino a sua madre di quei fatti, oggi sarebbe perlomeno indagata ai sensi dell’articolo 326 del codice penale. Paradosso. Ma c’è di più. Quei Carabinieri che mercoledì hanno interrogato la giornalista del Foglio appena atterrata a Roma per l’enormità di quattro ore, all’aeroporto di Ciampino non ci sarebbero nemmeno dovuti essere. Non avevano nessuna delega da parte della procura della Repubblica, come ha spiegato ieri sera anche una nota ufficiale degli stessi Ros: “Il reparto si è limitato ad acquisire dalla signora Sala dichiarazioni spontanee”, “come di consueto” in questi casi. Ma di “spontaneo” e soprattutto “consueto” sembra esserci poco. Per esempio, quando fu liberata da Evin Alessia Piperno, a novembre del 2022, i Ros non si presentarono.
E allora che ci facevano stavolta? “I protagonisti della polizia giudiziaria”, è la battuta che fa chi ha lavorato alla liberazione di Sala. Ed ecco allora che tutta l’attenzione, la segretezza, il riserbo, la cautela e la prudenza che avevano caratterizzato la vicenda Sala finché gestita in Iran sono crollate nel momento esatto in cui la nostra collega è atterrata in Italia e ha incontrato l’autorità giudiziaria. Bentornata! Siamo alle solite, verrebbe da dire. Protagonismo, spifferi, segretezza violata e chisseneimporta delle conseguenze. Ma questa storia, stavolta, investe una dimensione persino più ampia. Ragione per la quale questa fuga di notizie, per esempio, ieri mattina è deflagrata negli ambienti dell’intelligence.
“E’ un fatto mortificante”, dice al Foglio un’importante fonte dell’Aise. Che spiega, con qualche comprensibile reticenza: “Per la complessità del quadro affrontato fino a questo momento, e considerato che sul campo ci sono ancora operazioni in corso, non ogni parola ma ogni virgola dei racconti di Cecilia Sala è materia delicata”. Per uscire di metafora, fonti della Farnesina ci spiegano che in queste ore agenti italiani e agenti di altre nazioni europee stanno lavorando alla liberazione di altri prigionieri che sono detenuti nello stesso carcere in cui era ristretta la nostra collega. Ragione per la quale mercoledì mattina, sul C-130 dell’Areonautica militare che la riportava a casa, gli agenti dei servizi avevano spiegato con fermezza a Cecilia Sala cosa avrebbe potuto raccontare e cosa no. Ne va della libertà e della vita di persone tuttora detenute a Evin. Non c’è conferma del fatto che la procura di Roma abbia aperto un fascicolo per violazione del segreto, ma sicuramente – e anche questo rende l’idea della fine dell’idilliaca prudenza – non c’è nessuna indagine “per tortura” contro ignoti iraniani come suggerito nell’articolo che dichiarava di aver tratto le informazioni “dal primo racconto di Sala ai Carabinieri” consegnato “ieri mattina al procuratore capo di Roma”.