Con gli incendi californiani a rischio anche un pezzo di architettura del Novecento

Gli incendi, i terremoti, l’instabilità generale fanno parte anche del fascino sinistro della California. “L’America è un grande piano inclinato dove tutto ciò che ha scarso ancoraggio prima o poi scivola verso la California”, scriveva sempre Lloyd Wright

Cinque morti, più di 2.000 case distrutte, almeno 130.000 persone evacuate. Il bilancio dell’ennesimo incendio a Los Angeles è cruento, mentre per l’ennesima volta la California va a fuoco. Anche il presidente Biden, accorso sul luogo degli incendi, l’ha usata come scusa per annullare il suo crepuscolare y final viaggio in Italia, mentre nomi e location mitiche ardono… Hollywood… Malibu… Sunset Boulevard… Pacific Palisades.

Con gran pietà per gli umani, però chissà che magioni saranno bruciate, visto che lì si concentra anche una summa di notevole architettura del Novecento e pure Duemila. Sarà in salvo per esempio la villa di Thomas Mann proprio a Pacific Palisades? Qualche anno fa un magnate voleva spianarla ma poi la comprò il governo tedesco per preservarla. Stranamente Mann, quando si era stabilito su quel meraviglioso sperone di giardini che si affaccia sul Pacifico e guarda Santa Monica, non si era fatto sedurre dal modernismo di architetti émigré come lui, Richard Neutra in testa, inventore della casa con colonnine d’acciaio, “California modern”, ma aveva ripiegato su uno stile più “Lubecca classic”, costruendo una piccola Casa Bianca, borghese fuori e tormentata dentro, forse come lui. Neutra, dopo aver fatto pratica da Frank Lloyd Wright, era arrivato a Los Angeles invece nel ‘25, cent’anni fa esatti, acquattato in una casetta modesta, ma si era imbattuto nell’industriale illuminato Cornelis Van der Leeuw, che, proprio come il Van Buren del recente premiatissimo kolossal “The Brutalist”, lo prende a benvolere e gli fa costruire la sua casa manifesto, la VDL Research House (che andrà completamente distrutta nell’incendio del 1963, poi ricostruita perfettamente, aperta sempre al pubblico e gestita oggi da simpatici volontari). Perché gli incendi, misti ai terremoti, sono un grande classico californiano (spesso sono i terremoti che scatenano gli incendi, spezzando i cavi elettrici e facendo esplodere il gas, come nel leggendario “earthquake” che rase al suolo San Francisco nel 1906, poi immortalato nell’omonimo filmone con Clark Gable di 30 anni dopo).

Gli incendi, i terremoti, l’instabilità generale fanno parte anche del fascino sinistro della California. “L’America è un grande piano inclinato dove tutto ciò che ha scarso ancoraggio prima o poi scivola verso la California”, scriveva sempre Lloyd Wright. Il fuoco e la scossa fatali sono parte di tanta letteratura e cinematografia. “Chinatown”, uno dei film “identitari” di Hollywood, girato da Roman Polanski del 1974, descrive il progetto di una diga folle su una faglia a rischio, mentre “Gli ultimi fuochi” si intitola (con bizzarra traduzione italiana) un vecchio grande romanzo di Francis Scott Fitzgerald che narra le gesta di un produttore hollywoodiano mentre un gran terremoto distrugge gli studios. E la stessa moglie di Fitzgerald, la mitica Zelda, morirà davvero in un incendio, nella clinica che la ospita.



Ma anche noi, quando si abitava laggiù (in California, non in clinica) si era imparato che l’incendio prima o poi ti capita, non è poi gran cosa, come l’ingorgo a Roma (c’era sempre la foto di un parente o amico carbonizzato in qualche cornicetta, nelle famiglie, laggiù). Al di là del lutto, è anche uno dei rari momenti in cui si può acquistare una casa, o i suoi ruderi, in un mercato immobiliare che è sempre tra i più cari al mondo. Rimane il mistero di come mai anche con quei prezzi i californiani si ostinino a costruire col legno e non col cemento, ma questo è appunto un mistero. Dicono: per i terremoti (ma in Giappone costruiscono splendide case antisismiche in materiali ignifughi). Le cause dei “wildfires” sono poi la siccità e il gran vento: comunque sia 2,7 milioni di californiani vivono in zone ad alto o altissimo rischio. Gli incendi hanno nomi da cagnetti di casa come Loop (1966, 12 morti), Old (2003, 6 morti), Thomas (2017, 23 morti). Ogni volta poi si ricostruisce da capo, grande “metafa” del vivere americano.

I giornali locali anche oggi indicano cosa lasciare e cosa portarsi via: prendersi evacuando le case: una pila, una mascherina, documenti importanti, una cartina geografica della zona in caso il gps salti. I preziosi, meglio affondarli in casse stagne nella piscina (perché qui è scontato che prima o poi andrai a fuoco, e che avrai una piscina). A rischio sono oggi la casa tuttora di Frank Gehry, a Santa Monica, costruita per sé nel ‘77 quando era ancora povero, immigrato dal Canada, fatta di un lamierino oggi “igonigo” ma che allora piacque pochissimo (i vicini lo querelarono per oltraggio al decoro). E la celebre e colorata Eames House dei coniugi Eames famosi per la poltrona con pouf, è stata evacuata e sigillata. Come la Villa Getty, assurdo mammozzone che il miliardario del petrolio aveva edificato ricalcando la romana Villa dei papiri.



Ma di fronte a Santa Monica, anche tante architetture anonime con umani però di pregio: sarà in salvo per esempio la leggendaria villetta a strapiombo del nostro amico Don Bachardy, pittore che ha vissuto una vita con Christopher Isherwood? Tutta di legno, architettura senza firma, ritratta però nei famosi quadri di David Hockney.

E invece i nuovi coloni, le varie celebrità che hanno comprato case firmatissime delle massime archistar? Che ne sarà, a Malibu, del casone progettato dalla super archistar giappa Tadao Ando per i produttori di “Beautiful” Bill e Maria Bell, e passato per 200 milioni di dollari, la casa più cara di California, a Beyoncé e Jay Z? Ando è stata l’ultima mania di questi ricconi a rischio falò: pure il trucido Kanye West si è accaparrato un suo manufatto (lo “Small Ando”) ma con grande sdegno di tutta la società civile e architettonica poi l’ha modificato completamente con l’aiuto di qualche geometra locale scovato dalla sua strana morosa Bianca Censori (mentre la ex Kim Kardashian ha ingaggiato sempre l’architetto giapponese per una magione però a Palm Springs, zona meno incendiosa. Del resto Kardashian aveva già visto la sua villa distrutta in un altro incendio notevole, quello del 2018). Ma oggi, a Malibu, sono state distrutte anche le ville di Billy Crystal e Paris Hilton. E pure quella di Hunter Biden, il figlio scapestrato del presidente uscente. Il quale però fa sapere, con magra consolazione, che era solo in affitto.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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