Armocromia dell’insicurezza. Bianca o rossa? Termini resta zona franca

Racconto di una stazione Termini giubilare. Controlli, senzatetto, guardie. E poi lo scontro tra Viminale e Campidoglio: zona rossa o zona bianca?

È la cartolina di benvenuto a Roma, ma anche il budello del degrado. Arrivati a Termini, ci sono i militari, i carabinieri, la polizia, le guardie giurate. E poi c’è lui, l’uomo che strepita. Impreca nella sua lingua, si flette, si piega sul pavimento. L’assortimento di guardiani e divise, qui, in piazza dei Cinquecento, non riesce comunque a smuovere l’uomo. Che all’ingresso principale della stazione pare il primo segnale dei cosiddetti controlli rafforzati.



All’alba del Giubileo, Termini, come l’intero colle Esquilino, da zona franca diventa infatti zona rossa. O quasi. Il prefetto Lamberto Giannini, insieme al sindaco Roberto Gualtieri e al consulente sulla legalità del Campidoglio Francesco Greco (ex pm di Mani Pulite), parlano di “controlli serrati” ma senza sfumature cromatiche. Fabio Rampelli, di contro, invoca sulla scia del Viminale una più precisa e icastica “zona rossa” (e cioè un’area urbana interdetta ai soggetti pericolosi e con precedenti penali) traducendo in idioma prefettizio il caos capitolino. “Ripuliamo l’inferno!”, esorta il vice presidente della camera dei Deputati nonché big di Fratelli d’Italia. Al che sindaco, prefetto e consulente virano ancora su altre nuances. Con Gualtieri che auspica una Roma città bianca e non nel senso di Ostuni o di qualche altra cartolinesca località meridionale, bensì di capitale sicura a ogni latitudine: “zona bianca”, appunto. Anche perché, spiega il prefetto, la stazione Termini è “uno dei posti più sicuri (ipse dixit) e sui luoghi del Giubileo – precisa – abbiamo rafforzato tutti i presidi”.



Quello che balza agli occhi, comunque, al di là dell’armocromia, è proprio l’assortimento di uniformi, stemmi, armi, camouflage. È la presenza fisica di guardiani in divisa. Gli stessi che in altre città italiane sono presenze fisse o per così dire elementi del paesaggio urbano (al punto sull’Urbe che qualcuno ironizza: “È Milano wannabe”). Così, mentre l’uomo per terra continua a insolentire le uniformi, mentre la folla filma e chiosa con commenti vagamente tribali (je stanno a fa’ ‘e carezze), un militare (più rodomontesco) si avvicina. Inibendo da scatti selfie, reel e clippini.



E c’è dunque qualcosa di diverso e di sempre uguale, in questa Termini bianca come il latte e rossa come il sangue. Sul versante di via Giolitti, dalle parti del Mercato Centrale (là dove si mangia il cibo da strada più buono e garbato della città), s’incontrano i bottegai. C’è chi lavora a Termini da venticinque anni, o meglio: dal 28 dicembre 2000, e quindi dal Giubileo di Giovanni Paolo II; chi dall’inizio degli anni Novanta. Sono perlopiù pendolari alcuni dei quali nulla sapevano dei controlli e delle zone a colori. Anche se poi, dice l’uomo entrato in servizio a inizio Millennio, il bottegaio che ogni mattina viene su da Fondi (comune a sud di Latina), “a ben vedere è pieno di militari, e in giro c’è poca gente” (a ben vedere: nessuna fila per il caffè). “Se ci sono più controlli son contento – prosegue l’uomo – altrimenti quello che non fa il comune lo deve fare Cicalone”. Che forse si candida sindaco di Roma, lo sa? “Eh magari…”. Alcuni ignorano, dunque, ma altri sanno di Termini sotto controllo. Anche se è sempre sul crinale del disinteresse – del “magari” scettico e disingannato – che si dispone l’animo dei lavoratori. Di chi dice – a dispetto di zone bianche e rosse – d’averne viste davvero di ogni, tra solite risse e colleghi accoltellati.


“Ci sono presidi tutt’intorno la stazione, ma i soggetti pericolosi ci saranno sempre”, sostiene il bottegaio più anziano con tollerante cinismo. Lo stesso cinismo del romano che, secondo le credenze popolari, arriverebbe in ritardo persino nel giorno del giudizio universale. “I presidi servono – dice ancora – ma solo ad ammortizzare. Non risolvono i problemi. Semmai dissuadono chi li crea”.



E in effetti fuori dalla stazione, a un’ora esatta da quei primi strepiti, in piazza c’è ancora lo straniero circondato dalle uniformi. Alcune guardie giurate di Security service (l’azienda cui il comune ha appaltato la sorveglianza di Termini per cinque anni) colgono l’occasione. Vuotano il cuore e il sacco: “Le istituzioni – dicono – demandano a noi problemi che non risolvono. Parlano di zone rosse, bianche, di soggetti pericolosi da allontanare e tuttavia noi, guardie giurate, non possiamo neppure chiedere i documenti. Non possiamo sapere, se non con l’intervento della polizia o dei carabinieri, né nome né cognome di chi aggredisce”. Ed ecco. Tra pellegrini, pericoli, youtuber e angeli custodi incompresi, Termini è la cartolina di benvenuto a Roma. Terra di nessuno che è zona rossa per Matteo Piantedosi, zona bianca per Roberto Gualtieri, e zona franca per chi, con scetticismo o cinismo, ne ha viste oramai di tutti i colori. Compreso il grigio piombo degli anni Settanta.

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