La crisi del gas per l’Europa non è ancora alle spalle

L’Ue non ha problemi di scarsità, ma la chiusura del gasdotto ucraino, l’inverno freddo e la domanda cinese spingono i prezzi sul Ttf verso i 50 euro

L’incontro al Cremlino tra il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente russo Vladimir Putin ci ricorda che la crisi geopolitica ed energetica del gas non è finita. Come, d’altronde, mostrano le quotazioni del gas sul Ttf che si avvicinano ai 50 euro al MWh, il livello di aprile 2023, dopo essere scese a 26 euro ad aprile 2024. Certo, siamo lontani dai picchi vicino ai 300 euro dell’estate 2022, ma comunque è un livello elevato e con un trend opposto alla discesa degli ultimi due anni.

Fico, che ha ritirato gli aiuti militari all’Ucraina e assieme a Viktor Orbán è il miglior alleato della Russia in Europa e nella Nato, è andato da Putin per discutere della fine delle forniture di gas russo alla Slovacchia attraverso l’Ucraina: “Stiamo affrontando una crisi del gas grazie al presidente Zelensky”, aveva dichiarato nei giorni scorsi. La “colpa” di Zelensky è la scelta, annunciata da tempo, di non voler rinnovare il contratto quinquennale in scadenza il prossimo 31 dicembre che consente il transito del gas russo sul suo territorio.

La Slovacchia, che ha un contratto di fornitura di lungo termine con Gazprom, si vedrà così interrompere il flusso via gasdotto dalla Russia, dovendo affrontare un extracosto di circa 220 milioni di euro per acquistare il gas sul mercato. Anche altri paesi, come l’Ungheria, sono interessati alla chiusura del gasdotto che passa per l’Ucraina, ma Budapest può continuare a ricevere gas dalla Russia – anzi punta a incrementare le forniture – attraverso il Turkstream, il gasdotto che attraversa il Mar Nero. I problemi maggiori sono appunto per la Slovacchia, che si troverebbe a dover affrontare un aumento dei costi della bolletta energetica.

Il prezzo del gas, ovviamente, non è tutto. È parte di una frattura politica più profonda. Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è “vergognoso” che alcuni paesi europei si preoccupino di piccoli aumenti del costo dell’energia, mentre gli ucraini stanno perdendo la vita per difendere l’Europa dall’aggressione di Mosca. Kyiv non può consentire di continuare a far passare sul suo territorio il gas che serve al Cremlino per finanziare la guerra contro l’Ucraina. Inoltre, la Slovacchia di Fico non è esattamente un alleato dell’Ucraina: si oppone alle sanzioni contro la Russia, nega gli aiuti militari e si oppone all’ingresso di Kyiv nella Nato.

Nelle varie interlocuzioni, a Fico è stato offerto un accordo con i partner che prevede una compensazione economica per gli extracosti energetici della Slovacchia, in cambio di una sua politica di sicurezza meno ostile contro l’Ucraina. Il premier slovacco ha denunciato che Zelensky gli avrebbe promesso 500 milioni di euro di asset russi in cambio del sostegno della Slovenia all’ingresso di Kyiv nella Nato: “Ho detto: mai!”. Fico non vuole i soldi e vuole solo il gas di Putin. È chiaro che la partita è più politica che energetica.

L’Unione europea non ha alcun interesse a far proseguire il flusso attraverso l’Ucraina, anche perché si è data come obiettivo lo stop del gas russo entro il 2027. La chiusura dell’arteria ucraina non dovrebbe essere un grosso problema per quanto riguarda gli approvvigionamenti: si tratta di una perdita di circa 15 miliardi di metri cubi di gas, circa il 5% delle importazioni totali dell’Unione europea. E vorrebbe dire dimezzare l’attuale import dalla Russia, pari all’incirca al 9% (in aumento rispetto al 2023). Nulla di paragonabile con lo choc del 2022, quando dopo l’invasione dell’Ucraina e le sanzioni occidentali Putin chiuse i rubinetti a un’Unione europea che importava circa il 40% di gas dalla Russia.

Ma sebbene, come detto, non c’è un problema di quantità, ci sarà sicuramente un impatto sui prezzi. Anche perché altri fattori contribuiscono a far lievitare i costi. Uno è il clima. Questo inverno, come è già evidente, secondo le previsioni sarà il più freddo dal 2020. Se all’apice della crisi energetica del 2022, gli inverni miti hanno aiutato l’Europa, stavolta le temperature giocano contro. A dicembre gli stoccaggi europei sono scesi già all’82%, circa il 15% in meno rispetto al picco di inizio stagione, attestandosi così a un livello di gran lunga inferiore all’anno scorso ma anche rispetto alla media degli ultimi cinque anni.

Un altro fattore è la domanda globale. Il consumo di gas è tornato a tassi di crescita pre pandemici, in particolare in Asia, e soprattutto in Cina. Le importazioni cinesi di Gnl hanno superato i 98 miliardi di metri cubi nei primi undici mesi dell’anno (+13%) e possono superare il record di 107 miliardi di metri cubi importati nel 2021. Inoltre, nel 2025 l’Asia amplierà la sua capacità di rigassificazione, che vuol dire maggiore possibilità di importare Gnl. Questo vuol dire che l’Europa si troverà a competere con l’Asia per poter importare il Gnl, che servirà per l’aumento della domanda e per sopperire alla riduzione delle forniture russe.

Tutti questi fattori spingono verso l’alto il prezzo del gas e questo, ovviamente, non ha conseguenze positive per la manifattura europea già in crisi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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