La dipendenza della Slovacchia dalla Russia è “una grande questione di sicurezza” per l’Europa, ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Il premier slovacco, proprio come l’ungherese Orbán, vuole spezzare l’isolamento di Putin, parla di come mettere fine al conflitto e ha già sospeso gli aiuti militari a Kyiv quasi come primo atto quando è stato (ri)eletto nel 2023. La dura reazione della Repubblica ceca e l’avvio del semestre europeo della Polonia, una gran fortuna
La dipendenza della Slovacchia dalla Russia è “una grande questione di sicurezza” per l’Europa, ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, commentando la visita a sorpresa del primo ministro slovacco, Robert Fico, a Mosca, domenica sera, dove ha incontrato il presidente russo, Vladimir Putin, “ingiustamente demonizzato” dall’occidente. Fico è il terzo leader europeo ad andare al Cremlino da quando i russi hanno invaso senza ragione (e senza legge) l’Ucraina, sfregiando l’unità europea contro l’aggressione di Putin: prima di lui il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, e il premier ungherese, Viktor Orbán, che a Mosca ci è andato mentre il suo paese aveva la presidenza di turno dell’Ue, come se avesse un mandato collettivo che naturalmente non c’è. Anzi, esiste un documento, la Common Security and Defence Policy, che i paesi europei devono rispettare e che sta alla base della politica sanzionatoria nei confronti della Russia. Ma proprio come Orbán, il premier slovacco vuole beneficiare dell’appartenenza all’Ue e svilire al contempo i princìpi che la tengono insieme, a spese non soltanto dell’unità necessaria per contrastare la minaccia russa ma anche della stessa Ucraina ingiustamente invasa.
Fico è andato a Mosca a parlare di gas: il contratto con Gazprom per il rifornimento alla Slovacchia passando dal territorio ucraino scade alla fine dell’anno e Kyiv ha detto di non volerlo rinnovare. Il gas russo che passa per l’Ucraina costituisce circa la metà del gas che Mosca (ancora) esporta in Europa: i paesi più colpiti dal non rinnovo del contratto sono la Slovacchia, l’Italia, l’Austria e la Repubblica ceca. Le ragioni di Kyiv sono piuttosto evidenti – come mostra la militarizzazione dell’economia russa, ogni introito serve all’industria bellica russa – ma Fico, proprio come Orbán, vuole spezzare l’isolamento di Putin, parla – questo lo fanno un po’ tutti da quando è stato eletto Donald Trump – di come mettere fine al conflitto e ha già sospeso gli aiuti militari a Kyiv quasi come primo atto quando è stato (ri)eletto nel 2023. La Slovacchia dice che cercare una via alternativa a quella ucraina costerebbe 220 milioni di euro in più in costi di trasporto: Zelensky ha detto che si è parlato di questa questione a Bruxelles la scorsa settimana, in occasione dell’ultimo Consiglio europeo del 2024, e che sono state offerte delle compensazioni a Bratislava per gestire il periodo di transizione verso un’emancipazione dal gas russo, ma Fico non le ha accettate perché, proprio come Orbán, sostiene che si tratti di una questione nazionale di sicurezza energetica. Per questo il presidente ucraino denuncia una dipendenza pericolosa dalle risorse russe dentro l’Europa: non c’è la volontà di spezzarla. Putin ha detto di essere “pronto” a continuare a fornire gas alla Slovacchia, ma la decisione finale spetta a Kyiv.
Fico sostiene di aver avvertito l’Ue venerdì della sua visita a Mosca e ha detto che Zelensky gli avrebbe offerto 500 milioni di euro in asset russi in cambio del sostegno slovacco all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. La versione dell’Ucraina è diversa: Zelensky ha fatto l’elenco di tutti i modi con cui la Slovacchia guadagna fondi dall’Ucraina – importazioni di elettricità, vendita di diesel, il transito di gas e petrolio – ma Fico avrebbe risposto che non ha intenzione di perdere soldi soltanto perché l’Ucraina è in guerra. E’ a quel punto che – ha riportato Politico Europe – Zelensky ha detto che l’Ucraina sta perdendo vite umane a causa della Russia, che il premier slovacco invece aiuta, e ha proposto delle compensazioni, non accettate.
Se l’Ue ha reagito in modo quasi silente alla visita russa di Fico – anche il commissario slovacco, Maros Sefcovic, che ha buonissimi rapporti a Bruxelles ma è comunque considerato un alleato del premier del suo paese – la Repubblica ceca è stata invece molto dura: il ministro degli Esteri, Jan Lipavsky, ha detto che il suo governo “si è garantito l’indipendenza energetica dalla Russia in modo da non dover strisciare di fronte a un assassino di massa” e anche altri politici cechi hanno ribadito che si tratta di “un tradimento” che serve soltanto gli interessi russi: in questo senso, Fico rappresenta un rischio per la sicurezza di tutta l’Europa. E’ interessante questa reazione perché, prima che Putin invadesse e devastasse – ormai da quasi tre anni – l’Ucraina, la Repubblica ceca assieme a Ungheria, Slovacchia e Polonia faceva parte del cosiddetto gruppo Visegrad, che ha avuto un ruolo importante nella definizione degli equilibri di potere dentro l’Ue. Quest’alleanza si è frantumata perché in particolare il premier ungherese ha deciso di non agire assieme agli alleati europei, ha preteso un trattamento speciale nei confronti delle risorse russe e poi anche dentro la Nato e ora minaccia di non confermare tutte le sanzioni a Mosca – è in discussione il sedicesimo pacchetto – che scadono a fine gennaio. Per fortuna dell’Europa, la Polonia prenderà la presidenza del semestre europeo il primo gennaio e la sua priorità è il rafforzamento della sicurezza e della difesa europea, l’esatto contrario del progetto dell’altra metà di Visegrad, che non riconosce la minaccia esistenziale che Putin pone all’Ucraina e all’Europa.