Il 23 dicembre 1984 il giovane sciatore bolognese ha sorpreso tutti con una vittoria inaspettata. “Grossa sorpresa alla Montagnetta di San Siro: un azzurro della B beffa i grandi”, scrisse la Gazzetta dello Sport
Nello sport ci sono nomi che sembrano perfetti per stare scritti in fronte a un campione, anche se, ovviamente, lo si può dire solo a posteriori, dopo che con quel nome si è firmata un’impresa, o una carriera di imprese sportive.
Che, per giocare a pallone, Edson Arantes do Nascimento fosse molto meno efficace di Pelé, voce che onomatopeicamente pare consustanziarsi con l’oggetto stesso della sua arte pedatoria, lo capisce anche un bambino. Alla sfera della premonizione appartiene anche Diego Armando Maradona, sorta di sacra trinità anagrafica che tiene insieme Dio e la Madonna congiunti dalla forza ariostesca delle armi e/o degli amori – e con quel secondo nome imperfetto anagramma del cognome, come imperfetto fu il suo genio calcistico e umano. Oggidì nello star system dello sport il nome diventa brand commerciale (Cr7 docet) e contribuisce a fare la fortuna economica di chi lo porta.
Ci sono però nomi e cognomi che, anche per un campione, sono pesantissimi da indossare. “L’impresa eccezionale, dammi retta” (tanto per citare un concittadino del fuoriclasse di cui stiamo per raccontare la prima sorprendente epifania, avvenuta esattamente quarant’anni fa) è così quella di riuscire a desemantizzare la propria identità onomastica.
Il 23 dicembre 1984, sul Monte Stella, la popolare Montagnetta di Milano la Federazione Italiana Sport Invernali ebbe l’idea di organizzare, in vista delle festività natalizie, uno slalom parallelo a cui presero parte gli atleti delle squadre A e B maschile e femminile. Di neve vera neanche a parlarne, cosicché la si dovette sparare artificialmente i cannoni (per ironia della sorte, venti giorni dopo su Milano si sarebbe abbattuta “la nevicata del secolo” che fu fatale al Palasport di San Siro). Il tracciato era, necessariamente, molto corto (250 m) e le pendenze assai modeste pendenze: 185 m sul livello del mare, altura artificiale nata dall’accumulo di macerie degli edifici distrutti nella Seconda guerra mondiale. Dai cancelletti di partenza alla vista dei concorrenti si apriva l’orizzonte assai poco panoramico dei palazzoni a schiera del Quartiere Gallaratese, periferia nord-ovest di Milano.
Fu però un successo: 5000 milanesi accorsero ad assistere alle gare. Lungo le venti porte del percorso si sfidarono, uno contro l’altro, i migliori sciatori nazionali. Tra le donne a imporsi fu Daniela Zini, da Livigno, ma quasi atleta di casa, essendo affiliata dal CUS Milano. Nella competizione maschile il successo andò a uno sconosciuto atleta della Nazionale B, perlopiù uno sciatore urbano e di pianura. Quel giovanottone moro, nato diciotto anni e quattro giorni prima, il 19 dicembre 1966, a San Lazzaro di Savena, che si chiamava Alberto Tomba eliminò in sequenza agli ottavi il pusterese Heinz Holzer, ai quarti il piemontese Paolo De Chiesa, mostro sacro della “Valanga azzurra”, in semifinale il bresciano della Val Trompia Ivano Edalini e in finale il nettamente favorito Robert Erlacher, da Colfosco, in Val Badia, che quindici giorni prima aveva ottenuto la sua prima vittoria in Coppa del mondo nel gigante a Puy-Saint-Vincent.
Il 24 dicembre, sulle pagine della “Gazzetta dello Sport”, un articolo di Gianni Merlo dedicò il giusto spazio all’impresa, lodando il talento dell’appena maggiorenne bolognese e prospettandogli un promettente futuro. Però, c’è un però. Il titolo del pezzo suonava: “Un giovane sciatore vince il parallelo”. E il sottotitolo: “Grossa sorpresa alla Montagnetta di San Siro: un azzurro della B beffa i grandi nel parallelo”. Non c’era traccia del nome né tantomeno del cognome, così poco benaugurante, tanto più “sotto Natale”.
Quel giorno però ci fu un altro singolare, e drammatico, incrocio nel destino onomasiologico di Alberto Tomba, che sarebbe diventato qualche anno dopo, con un facile calembour, “Tomba la Bomba”. Poche ore dopo la sua prima vittoria, la sera del 23 dicembre un ordigno collocato sul rapido 904 diretto da Napoli a Milano e fatto esplodere nel cuore della Grande Galleria dell’Appennino, tra Firenze e Bologna, uccise 16 passeggeri e ne ferì 266.