Francesca Sensini: “I miti greci insegnano a non dimenticare il sacro”

La scrittrice e docente di italianistica all’Università di Nizza: “L’epica di ogni civiltà ci riporta altrove ma parla sempre di noi, perché i grandi temi dell’umanità rimangono gli stessi: conflitto, desiderio, rapporto col divino”

Chi ha fatto il liceo classico, e usa far propositi per l’anno nuovo, ascoltando Francesca Sensini è spinto ad appuntare sull’agenda: “Riaprire grammatica e vocabolario di greco”. Genovese, docente di Italianistica all’Università di Nizza, Sensini è convinta come Alberto Savinio che gli dèi dell’Ellade camminino tuttora camuffati tra noi e s’appassiona a riscriverne le tracce: lo ha fatto con “La trama di Elena” e con “Afrodite viaggia leggera”, editi da Ponte alle Grazie. Appena può torna in Grecia “dove la presenza del mito è più forte e si ha la sensazione di camminare in mezzo a qualcosa che trascende le antiche pietre”.

Quei miti sono ancora operativi?

Certamente, ma più che l’interpretazione psicologica m’interessa quella storica e archeologica. I miti sono operativi perché la loro trama continua a essere tessuta. Come un racconto aperto che non può consegnarsi a un tempo stabilito.

L’insegnamento più importante?

Il senso del limite rispetto al sacro, che è proprio alla dimensione umana ed è svantaggioso dimenticare. L’epica di ogni civiltà ci riporta altrove ma parla sempre di noi, perché i grandi temi dell’umanità rimangono gli stessi: conflitto, desiderio, rapporto col divino, il senso della vita come viaggio.

Da dove comincia quando studia un mito?

Dall’etimologia. La parola ti spinge all’ingresso.

Elena dove spinge?

Ci sono almeno nove etimologie di questo nome ancora così comune in tutta Europa. Suggerisco “fiaccola, torcia”, perché entra più in risonanza con la sua storia. Le fiaccole accompagnavano i cortei nuziali e rappresentarono anche il fuoco della passione. In un dipinto di Dante Gabriel Rossetti, Elena indica la torcia incisa sul medaglione che porta al collo.

Sposa fedifraga di Menelao, amante di Paride, cagione della guerra di Troia. Calasso scrisse che nella vita “Elena non fece altro che mostrarsi e tradire”.

Elena è una semidea che infrange la separazione tra sfera divina e umana. E quando l’amore per la bellezza trasgredisce questo limite si generano conseguenze, che non dipesero dalla malizia di Elena. Gli eroi dell’Iliade lo sapevano e le manifestarono comprensione. Lei si biasima con un insulto tremendo, si definisce “cagna”, ma Priamo la tratta dolcemente ed Ettore la consola perché lei non poteva immaginare gli effetti delle sue azioni.

Perché lei ne ha trattato?

Nella vague di riscritture del mito in chiave femminile avevo notato che Elena non veniva fuori, forse perché non corrispondente all’identikit di vittima della violenza maschile. Anzi nella vulgata risulta quasi connivente, una donna che usa la bellezza per manipolare gli uomini, si disinteressa al destino delle altre e pensa solo alla sua sopravvivenza. Bisognava renderle giustizia rispetto alle donne.

In passato ebbe maggior fortuna.

Addirittura nel Medio Evo prevalse la lettura di Elena e Paride come innamorati ideali, tralasciando i giudizi morali sull’abbandono di Menelao. L’amor cortese contemplava anche la trasgressione in nome della bellezza: Lancellotto e Ginevra, Tristano e Isotta.

Cosa insegna Elena nel 2024?

A misurare la libertà di scelta. La mia convinzione è che non fu rapita da Paride, ma scappò con lui perché ne fu felice abbandonando persino la figlia. C’è chi come Euripide scrisse che a Troia c’era solo il simulacro di Elena e quella vera aspettava impotente in Egitto, ma è una soluzione troppo comoda. Quando torna a Sparta, però, Elena è felice con Menelao. Perché è amore vero anche quello: una storia s’interrompe ma può riprendere se si sa perdonare. Elena è un’emissaria di Afrodite, la dea che partecipa alle nozze e poi lascia gli sposi: presiede alla felicità dei momenti, ma lascia alla dea Era l’ambito dell’amore socialmente ordinato.

Com’era fisicamente la donna più bella del mondo?

Omero dice poco e le rappresentazioni iconografiche o cinematografiche risultano deludenti anche quando Elena è interpretata da attrici bellissime. La raffigurazione più convincente è quella di Gustave Moreau, quando la dipinse senza volto davanti alle mura in fiamme di Troia. Perché quel volto è diverso per ognuno e perché il suo fantasma, nel senso francese della parola, ha ormai preso il suo posto. Succede anche alle dive della società contemporanea.

Di amore si parla e scrive troppo o troppo poco?

Oggi da un lato c’è meno inibizione e più libertà su tanti temi; dall’altro ci sono reticenze nell’uso della parola “amore”. Si cercano modi più cinici o blasé per riferirsi ai sentimenti, per paura del sentimentalismo. Però Platone insegna che chi ama è più fragile di chi è amato, ma è pure il più ricco tra i due.

Da italianista, a quali scrittrici guarda?

M’interesso molto al periodo tra Otto e Novecento, con la fioritura di giornaliste, saggiste e narratrici che irruppero sulla scena della cultura e della letteratura commerciale nell’Italia unita. Tantissimi nomi, purtroppo pochi quelli ancora noti. Oggi mi sembra che ci sia una produzione di grande varietà ma i tempi portano ad accorciare il respiro del racconto, a ripiegare su se stesse o su vicende familiari. Guardando dalla Francia, in Italia c’è più polarizzazione su diverse questioni, forse perché il dibattito che oltralpe si è già consumato, nella società italiana è ancora in corso.

Una parola che spieghi perché vale la pena studiare il greco?

Il greco, anche moderno, è un codice straordinario per raccontare il mondo con un cambio di prospettive. Una parola? Il tramonto è “to eliobasìlema”, letteralmente “il regnare del Sole”, mentre per noi è il declinare.

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