Ecco quelle che vi terranno incollati allo schermo in queste feste natalizie. Luca Marinelli è generoso in “M”, “Inside Out” per chi rimpiange la vecchia Pixar. Poi la dark comedy “The Sticky” e speranze per “Scissione”
“Scissione” , ideata da Dan Erickson, regia di Ben Stiller, Aoife McArdle e altri (seconda stagione su Apple TV+ dal 17 gennaio 2025)
Finalmente. Ha patito gli scioperi degli attori e degli sceneggiatori, la prima stagione era iniziata con successo nel 2022. Finalmente una trama mai sentita mille volte. A noi continua a sembrare più bello, suggestivo e spaventoso il titolo originale: “Severance”. Era anche il titolo di un film che si trova ancora su Amazon, se avete pagato l’obolo supplementare che vi fa accedere a Infinity Selection (non è solo un problema di Amazon, è un malcostume che tutti stanno adottando: vendono l’abbonamento base, poi per vedere qualcosa di stuzzicante serve la mancetta supplementare). Quel film era stato tradotto “tagli al personale”: un team building, durante un viaggio premio nei Carpazi, finisce in un carneficina. In questa serie, la scissione è tra i ricordi lavorativi degli impiegati in ditta, e i loro ricordi personali. Insomma: non sappia l’Io lavorativo cosa fa l’Io privato. L’attore Adam Scott è Mark, impiegato diligente e quindi “scisso”, comincia farsi domande sulla propria condizione quando un nuovo impiegato arriva nella ditta. Questa seconda stagione è a rischio, lo diciamo alla cieca. Di serie fantascientifiche con bizzarre abitazioni o ambienti di lavoro assurdi, con misteri da risolvere, ne abbiamo viste troppe. I fan – chiunque si sia appassionato alla prima stagione – spera che la trama non venga complicata oltre misura, mentre i personaggi restano con lo spessore della carta velina. Non è una battuta sui tagli e le scissioni: le serie con grandi invenzioni spesso dimenticano i personaggi. Speriamo.
“Cent’anni di solitudine” di Alex García López e Laura Mora Ortega, con Marco González, Susana Morales (i primi 8 episodi – su 16 – già su Netflix)
Il colossal colombiano ha battuto sul tempo il colossal italiano. “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez arriva su Netflix prima del “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, previsto per il 2025. “Gattopardo” che parte per noi (nostalgici o solo lettori) con un vizio di forma. Vale a dire: Kim Rossi Stuart nel ruolo del “principone” – così lo chiama Angelica prima del celebre valzer. Classe 1969, pari a 55 anni, sono pochini per il ruolo del principe Salina e della sua malinconia da vecchio aristocratico. Sono arrivati prima i colombiani, dividendo il capolavoro del 1967, parliamo del romanzo di Márquez, in due stagioni seriali. Nel 1982 lo scrittore vinse il premio Nobel – ma sappiamo che su Netflix tutto più succedere. I cugini Buendía, follemente innamorati, fuggono e fondano Macondo, villaggio immaginario che ospiterà sette generazioni della famiglia, che a loro volta si innamoreranno, si faranno i dispetti, impazziranno, faranno scoppiare una guerra civile. Tra magie e faccende molto terrene – questo si intende per realismo magico. Negli anni 70 del Novecento il realismo magico era coltivato quanto adesso viene coltivato il romance, pensate che vita gioiosa toccava ai lettori di allora. Il ghiaccio da conoscere. La strana malattia che fa perdere la memoria, quindi sulla mucca bisogna scrivere “Mucca”. Poi dopo un po’ dimenticano anche a cosa serve, e alloro devono scrivere: “Produce il latte, va munta tre volte al giorno”.
“The bad guy”. Regia di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, con Luigi Lo Cascio, Claudia Pandolfi (seconda stagione già iniziata su Prime Video)
Il marito magistrato. La moglie avvocato (non è meglio così, invece del tremendo “avvocata”, o peggio “avvocatessa”, quando il soggetto è chiaro?). Sono Luigi Lo Cascio e Claudia Pandolfi, in una serie made in Italy che se la guardate con i sottotitoli neppure tanto si nota. Ormai la mafia – “il nostro western” disse un critico brillante, al nostro lamento “dai, adesso basta con le lupare e le coppole” – ha invaso anche le piattaforme. La moglie Claudia Pandolfi, figlia di un giudice ammazzato da Cosa Nostra, preferirebbe per Luigi Lo Cascio un incarico meno esposto. Lui non ne vuole sapere. I colleghi sono abituati a sopportarne il caratteraccio. Anche la sorella Leonarda è nelle forze dell’ordine, con la raccomandazione del fratello (ma non potrebbero esistere caratteri più diversi: Luigi Lo Cascio non avrà pace finché non avrà assicurato alla giustizia il boss Mariano Suro – e il suo smisurato archivio). Se non avete visto la prima stagione – SPOILER – dovete sapere che il nostro ha avuto brutti momenti, fino a ritrovarsi in carcere per collusione con il boss. Durante un trasferimento, il furgone che lo trasportava con altri carcerati attraversava il Ponte sullo Stretto – che in questo universo parallelo esiste – e finiva in mare (un tirante del ponte aveva ceduto). Il magistrato-superman (deve essersi tenuto in forma durante la lunga detenzione) scappa verso terra, cambia identità, si infiltra tra i mortali nemici. Per certe carte si può rischiare la vita.
“M. Il figlio del secolo”. Regia di Joe Wright, con Luca Marinelli, dal 10 gennaio 2025 su Sky
“La democrazia è bellissima, ti dà un sacco di libertà. Anche quella di distruggerla”. Benito Mussolini annuncia il suo programma, in Parlamento e fuori. Ai nemici politici – il deputato socialista Matteotti – tocca la violenza. Rapimento e coltellate, Matteotti aveva denunciato i brogli elettorali del 1924, e stava indagando sulla corruzione molto praticata tra i membri del governo. Proprio lo stesso Benito Mussolini che, nel suo busto in bronzo, fa bella mostra di sé in casa di Ignazio La Russa (ne va fierissimo, non è un pettegolezzo). Per le fonti storiche e i dettagli del romanzo (il primo della saga, il quarto e ultimo è appena uscito da Bompiani con il titolo “L’ora del destino”) garantisce Antonio Scurati, capace di descrivere con sicurezza storica la tisana preferita da Margherita Sarfatti, che fu amante di Benito Mussolini. Lo scrittore ha molto studiato, ma rimane affezionato a una prosa soffocata da svolazzi, “effetti speciali” e pagine liriche. Per la regia garantisce Joe Wright, britannico, che preferivamo più asciutto, per esempio in “Orgoglio e pregiudizio”, da Jane Austen. Era stato bravo a scegliere un Mr. Darcy adatto alla parte, Matthew MacFadyen, poi fidanzato di Siobhan Roy, detta “Shiv”, la rampolla di Logan Roy in “Succession” (scusate, ogni tanto scappa la mano verso serie che hanno catturato per sempre il nostro cuore). Questi sono i primi sei episodi della serie, con il bravo – e generoso di sé – Luca Marinelli nella parte di Benito Mussolini. Chi come noi pensa che di Mussolini si stia parlando fin troppo, e non solo negli anni recenti, nota soprattutto il trucco – niente protesi, garantiscono – e un grande coraggio. Mussolini non sembra mai sparito dall’orizzonte, per la fiamma sempiterna e per i treni che arrivavano sempre in orario.
“Black Doves” di Joe Barton, con Keira Knightley, Ben Whishaw, Sarah Lancashire (Netflix)
Ai tempi di Dickens, quando i romanzi (a puntate) e i racconti venivano considerati regali preziosi, e intanto prendeva forma il Natale come lo conosciamo noi – famiglie riunite, camino acceso, albero decorato con palline e altri oggetti – nel pacchetto oltre al pudding c’era sempre una storia di fantasmi. Per far rabbrividire chi sta al calduccio. Ora che nessuno si azzarda più a dire Buon Natale, o ad addobbare l’albero, ora che il fuoco nel camino lo fornisce Netflix, con un paio di film che cominciano con i ceppi che poco a poco si consumano – li avete mai visti? sono girati da specialisti, che sanno fare un bel fuoco elegante che si consumi piano piano – dalla stessa ditta arrivano le storie. La maggior parte almeno, ci sono altre piattaforme in concorrenza – però non contate su Disney, sempre meno specializzata in bambinerie, ha già dato nei decenni. “Black Doves” è il racconto natalizio con le spie. Spie più serie degli agenti segreti che stanno laggiù con lo spiegazzato Gary Oldman in punizione. Ma non proprio perfette. Però ci sono Keira Knightley e Ben Whishaw, a cui perdoniamo tutto. Lei è una signora sposata con il ministro della difesa britannico, e fa il doppio gioco. Ascolta quel che in casa in marito e gli amici raccontano (non dovrebbero, ma lui si fida ciecamente della consorte) e riferisce al gruppo delle Black Doves (tutte donne, forse, ma non è sicuro: il capo è l’attrice Sarah Lancashire, sempre meravigliosa). Errore fatale per una spia, la bella Knightley ha un amante. Da poco dice, saranno tre mesi. Abbastanza per aprire il primo episodio con una carneficina.
“Inside Out: Dream Productions”. 4 episodi di 20 minuti, scritti e diretti da Mike Jones (Disney +)
Per chi ancora – a Natale o quando è annoiato o quando gli pare – rimpiange la vecchia Pixar. E’ tremendo che siano passati tanti anni: John Lasseter ha lasciato la Pixar-Disney – la ditta che con lui aveva guadagnato 19 miliardi di dollari – nel 2018, da allora aspettiamo un film di Natale che gli adulti possano vedere senza sbadigliare. Ultimo esempio pervenuto: la petulante Vaiana in “Oceania 2” corre sulla spiaggia tropicale, con i piedini grassocci. E lì le avventure possibili non sono tantissime – speriamo in un film tutto con i mini-pirati armati fino ai denti, hanno il potenziale dei Minion, nati come intermezzi comici e ora titolari di film. Riley di “Inside Out!” sogna, la Dream Production fabbrica i suoi sogni. Anzi, li produce. In uno studio cinematografico in piena regola. La regista titolare, l’assistente che vorrebbe diventare regista a sua volta, i vari tecnici, una bella steadycam, gli operatori di macchina, le luci, i binari per le carrellate. C’è tutto, e appena Riley si addormenta, sotto la copertina della nonna, parte il sogno. In diretta. Se qualcosa va storto, può diventare un incubo. “Il nostro lavoro è magico”, dice orgogliosa la regista, diretta del suo dream team che comprende un reparto sportivo (Riley gioca a hockey su ghiaccio), un reparto che si occupa degli incubi, e il buffone che la fa ridere. Per spettatori adulti, soprattutto: si aggira per lo studio il regista-artista, specializzato in sogni a occhi aperti. Capelli con il ciuffo tutto da un lato, “niente sceneggiatura, niente camera da presa, solo visioni”. E un mazzo di carte per giocare con la Morte.
“The Madness” di Stephen Belber, con Colman Domingo, Marsha Stephanie Blake, Gabrielle Graham, John Ortiz (Netflix)
“Anche i paranoici possono avere dei nemici”. Una versione leggermente modificata di questa perla di saggezza – o esemplare sciocchezza, esistono i paranoici ma anche i non paranoici, i nemici non fanno differenza. Lucy Mangan, critica del Guardian, dice di aver visto la scritta quando aveva 14 anni, al mercato di Camden. E di averla tenuta sempre cara, campando in ottemperanza. Si è sempre trovata bene, anche come spettatrice. La perla di saggezza, insiste, è alla base dei thriller “cospirativi” che funzionano, e “The Madness” non fa eccezione. Il nostro eroe è un giornalista opinionista e conduttore in una tv che potrebbe essere la Cnn. Si chiama Muncie Daniels, sta per avere uno show tutto suo e per riposarsi in vista del prestigioso incarico si avvia per qualche giorno di vacanza nelle montagne della Pennsylvania. Vuole cominciare a scrivere il suo romanzo prima di finire nel vortice della notorietà (fastidioso quando c’è, agognato quando manca e nessuno chiede più l’autografo). La saggia giornalista del Guardian sconsiglia: “non fatelo mai, potete scrivere benissimo il capolavoro a casa con tutte le comodità, non c’è bisogno del bosco isolato”. Il vicino di casa dell’aspirante scrittore viene assassinato, come segno di benvenuto. Due uomini con il passamontagna lo inseguono nei boschi. Fortuna che ha la stilografica, con il pennino e l’inchiostro, e subito un cattivo è fuori combattimento.
“The Sticky”, showrunner Ed Herro e Brian Donovan, con Margo Martindale, Guillaume Cyr, Jamie Lee Curtis (Prime Video)
Lo sciroppo d’acero. Quello che si versa sui pancake. Il Quebec lo considera un tesoro nazionale, e ne ha una riserva – in barili – piuttosto sostanziosa. Tanto sostanziosa che un trio di ladri non professionisti sono riusciti a rubarne per 18 milioni di dollari. E’ accaduto nel 2012, qui la notizia è sfuggita ma ha avuto risonanza a livello internazionale. Nel trailer vediamo Jamie Lee Curtis, e questo basterebbe per incuriosire. Nei primi episodi, vediamo Margo Martindale che coltiva i suoi aceri, finché le autorità non le mettono i bastoni tra le ruote. Vorrebbero impedirle di lavorare (e dunque di badare al marito paralizzato a letto) per una banale questione di permessi e di firme. Congegna la sua vendetta con un mafioso di Boston (garanzia di qualità criminale, anche se ha un carattere che dire irascibile è un eufemismo). E con l’unico guardiano del deposito, barili e barili della preziosa e sciropposa materia – nel primo episodio, grazie al telefono cellulare rimasto acceso – dal liquido sciropposo emerge un cadavere. E’ una dark comedy, genere che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, se le serie ancora ambiscono a qualche centralità. Basta con la fantascienza che vuole spiegarti il mondo, il futuro, la nascita delle Bene Gesserit, organizzazione chiave, tutta di femmine, in “Dune”. Il cadavere emerge dallo sciroppo, la coltivatrice di aceri Margo Martindale – era in “The Americans”, che con le due spie russe addestrate per recitare la parte della classica famiglia americana meriterebbe un ripasso – furiosa perché le hanno tolto la licenza, taglia un acero bello alto e con il pick up lo trascina in tutta la cittadina. Sangue e sciroppo garantiti, forse anche altri liquidi appiccicosi.