Prezzi e profitti gonfiati dal sussidio pubblico. L’enorme iniezione da 160 miliardi è stata letale, con benefici solamente per le imprese produttrici di materiali e nessuno per i lavoratori
Il Superbonus è responsabile della metà dell’aumento dei costi delle costruzioni registrato tra settembre 2021 e dicembre 2023. Lo dimostra uno studio di due economisti della Banca d’Italia, Francesco Corsello e Valerio Ercolani, che hanno indagato le dinamiche del settore, facendo ulteriore luce sugli effetti perversi dei bonus edilizi. Nel triennio post Covid i costi delle costruzioni sono cresciuti di circa il 13 per cento (20 per cento se si fa riferimento al periodo pre-pandemico): di questi, circa 7 punti percentuali sono attribuibili al Superbonus. L’incentivo che ha consentito di rifare “gratuitamente” circa il 4 per cento del patrimonio edilizio residenziale ha determinato un aumento del costo dei materiali, mentre il costo del lavoro è rimasto abbastanza stabile.
Che un’iniezione da 160 miliardi di euro abbia avuto effetti inflattivi può sembrare una considerazione banale, ma finora non c’era un’evidenza empirica. L’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) aveva segnalato che l’aumento dei prezzi era una logica conseguenza della struttura dell’incentivo che, finanziando integralmente la spesa, eliminava ogni contrasto di interesse tra venditore e compratore. Ma a livello aggregato l’Upb non aveva rilevato un andamento anomalo dei prezzi rispetto ad altri paesi europei, se non per alcune voci specifiche come caldaie e condizionatori. Questo aspetto è rimasto finora un enigma: se era logico attendersi un effetto inflazionistico da parte di un’agevolazione superiore al costo dei lavori, questo impatto era apparentemente assente dai dati, visto che i costi delle costruzioni in Italia sono cresciuti meno velocemente che in Germania e Francia, oltre che della media europea.
Lo studio della Banca d’Italia indaga meglio questa relazione, eliminando altri fattori confondenti tra paesi, e mostra come questo effetto c’è stato ed è stato importante. Gli autori formulano due spiegazioni concorrenti al fenomeno. In primo luogo, c’è una certa evidenza che i colli di bottiglia nelle catene del valore siano stati meno severi nel nostro paese rispetto ad altri paesi (ad esempio la Germania). Secondo, e probabilmente più importante, le imprese edili italiane venivano fuori da un lungo periodo di stagnazione degli investimenti: quindi, almeno in una prima fase, il Superbonus non ha messo sotto pressione i prezzi (soprattutto il costo del lavoro) perché vi era ancora capacità produttiva sottoutilizzata. Se ne deduce che, in assenza di un incentivo simile, i costi delle costruzioni sarebbero cresciuti più lentamente. All’incirca il 50 per cento in meno, secondo i calcoli.
Ogni fenomeno inflattivo ha anche conseguenze redistributive. In questo caso, a beneficiare dell’aumento dei prezzi sono state soprattutto le imprese produttrici di materiali, mentre i lavoratori non ne hanno tratto alcun vantaggio, visto che i loro salari orari sono rimasti stabili. Sebbene l’analisi della Banca d’Italia si fermi a questo punto, possiamo aggiungere un elemento: oltre che un rincaro degli input produttivi, l’impetuosa crescita della domanda ha messo vento nelle vele anche delle imprese costruttrici. Lo vediamo dall’andamento del markup (margine di profitto) monitorato dall’ufficio studi dell’Ance (l’associazione dei costruttori edili), che ha riscontrato in questo triennio un miglioramento della situazione patrimoniale delle imprese e dei loro margini.
Questo studio colma quindi un importante gap di conoscenza e aiuta a trarre una conclusione ancora più netta sull’eredità del Superbonus. Mentre ne erano noti sia l’impatto sul bilancio pubblico (160 miliardi di euro per il solo Superbonus, 220 miliardi per tutti i bonus edilizi) sia gli effetti sul pil, restavano due punti di domanda: uno relativo ai benefici ambientali, l’altro legato proprio ai prezzi.
Sul primo punto non è ancora stata fatta pienamente chiarezza: tutto ciò di cui disponiamo sono le stime dell’Enea, che però si basano su calcoli parametrici e non sui dati reali di consumo. A ogni modo, sulla base di tali stime un altro lavoro del servizio studi di Bankitalia ha mostrato che il tempo di ritorno dell’investimento è superiore alla vita tecnica dei lavori, anche facendo ipotesi estremamente generose sul valore economico della riduzione delle emissioni.
Inoltre, altre indagini dell’Upb avevano mostrato che una spesa così colossale aveva avuto effetti modesti sulla crescita (il contributo del Superbonus è stimabile in 1-2 punti di pil nel biennio 2021-22) ed era stata caratterizzata da un moltiplicatore molto basso (0,3 secondo le più recenti valutazioni del Fondo monetario internazionale). Adesso un’ulteriore tessera del puzzle va al suo posto e aiuta a comprendere meglio come sia stato possibile che una spesa così abnorme abbia prodotto benefici tanto contenuti: il Superbonus è una delle principali cause dell’inflazione nel settore delle costruzioni, con un contributo all’aumento dei prezzi addirittura maggiore rispetto allo choc energetico. Non solo il Superbonus ha paralizzato i conti pubblici italiani, ma ha anche moltiplicato i costi privati di chi ha dovuto fare lavori senza godere di alcuna agevolazione. Costoro hanno pagato due volte: da contribuenti e da consumatori. Il Superbonus è stato un’enorme iniezione di denaro pubblico, per molti versi letale.