In “Anatomia dell’errore giudiziario”, l’avvocato Titta Mazzuca indica perentoriamente un bivio: “In tutti i sensi, il metodo inquisitorio e il metodo scientifico delle indagini sono fra loro incompatibili”
Trovo in un vecchio e ricchissimo libro dell’avvocato Titta Mazzuca (“Anatomia dell’errore giudiziario“, Edizioni Bucalo, 1978) l’indicazione perentoria di un bivio: “In tutti i sensi, il metodo inquisitorio e il metodo scientifico delle indagini sono fra loro incompatibili”. Quando si tenta di combinarli, la malapianta inquisitoria infesta il campo dell’erba buona e “si cerca di adattare forzosamente confessioni e testimonianze alle diverse risultanze scientifiche”. O viceversa. Mi chiedo – e confido che qualche lettore più dotto potrà darmi la risposta – se nessuno si sia mai dedicato a una comparazione per così dire gnoseologica, in base cioè alle vie della conoscenza, tra i due modelli processuali (accusatorio e inquisitorio) da una parte e le tradizioni filosofiche che a spanne vi si sovrappongono geograficamente (analitici e continentali, per farla brevissima) dall’altra. Perché io non riesco a non vedere una somiglianza di famiglia tra l’inquisitore che dal primo mattone di un sospetto costruisce la fortezza impenetrabile di un’intera istruttoria e il filosofo che dall’assioma più o meno arbitrario di una prima intuizione edifica un sistema internamente coerente, ma impossibile da verificare o da falsificare. Del pari, mi sembra di vedere un’analogia tra il modello “sportivo” del processo accusatorio e una prassi filosofica che consente, sulla base di alcune regole logiche condivise, di dialogare fruttuosamente e di smentirsi a vicenda. Il capitolo del libro di Mazzuca si chiama, opportunamente, Metodi romantici d’indagine: forse pensava all’idealismo tedesco. Ringrazio fin d’ora chi saprà rispondere al mio messaggio in bottiglia. Perché sospetto che le nostre procure siano ancora covi di hegeliani.