Gli ascolti degli italiani su Spotify: poco cervello e molta fantasia per sentirsi gangster

Un panorama musicale diviso tra il dominio globale di Taylor Swift e l’autarchia italiana del rap-trap, con Geolier in vetta. Il ritratto degli ascolti racconta una cultura che si alleggerisce e si omologa

E’ un ritratto bizzarro quello che esce dalla pubblicazione del Wrapped 2024 di Spotify, in pratica le classifiche di ascolto di musica leggera dell’anno trascorso. Il primo dato a saltar fuori è la collocazione geografica d’utilizzo del servizio streaming più famoso del mondo: se tra i dieci artisti più ascoltati figurano un cantante messicano come Peso Pluma, al settimo posto, e uno colombiano come Feid, al decimo, è evidente che molti consumatori accaniti del servizio appartengano al mercato latinoamericano. Il resto è prevalentemente appannaggio del Nord America, con lo scontato primo posto di Taylor Swift (26 miliardi di ascolti), uno stimabile secondo per The Weeknd, seguito dal plotone dei rapper veterani, come il portoricano Bad Bunny, il canadese Drake, la coppia Usa Travis Scott e l’inaffondabile Kanye West, inframmezzati dalle voci femminili di Billie Eilish e Ariana Grande.

Sorvoliamo sugli elenchi dei singoli e degli album più ascoltati nel mondo, perché c’è poco da rallegrarsi, con l’incontrastato dominio della Swift, che piazza tre long playing tra i dieci più ascoltati, e Sabrina Carpenter, che trionfa tra le canzoni con la sua deprecabile “Espresso”, e passiamo piuttosto ad analizzare i dati di casa nostra. Qui viene fuori che il nuovo numero uno italiano è il rapper problematico-partenopeo Geolier, che vince tra i singoli con “I p’ me, tu p’ te”, negli album con “Dio lo sa”, e negli ascolti complessivi con 1,2 miliardi di streaming. Il dato che però emerge è la totale autarchia dei nostri ascolti: tutti e dieci gli artisti più ascoltati sono prodotti nazionali interamente ascrivibili all’area rap-trap, che ormai costituisce il consolidato mainstream italiano (qui le riflessioni porterebbero lontano). Dunque dopo Geolier ci sono Sfera Ebbasta (che per i tre anni precedenti si era aggiudicato il primo posto di questa classifica), Lazza, Tedua, Anna, Guè, Kid Yugi, Capo Plaza, Shiva e Tony Effe, rafforzando il successo di un suono e di un’attitudine in diverse coniugazioni, che producono comunque una compatta ambientazione musicale.

Solo se si esplora la lista delle voci femminili più ascoltate in Italia rispuntano un paio di nomi stranieri, le solite Taylor Swift e Billie Eilish a cui s’aggiunge Dua Lipa, in un elenco sorprendentemente guidato da Anna, seguita da Rose Villain, ma con tante presenze pop come Annalisa (terza), Angelina Mango (quinta), Elodie (sesta), Emma (settima) e, a chiudere, Madame. I singoli più ascoltati ribadiscono il peso delle partecipazioni sanremesi, coi primi tre posti assegnati a tre reduci del Festival, come il già citato Geolier, Rose Villain con “Come un Tuono” e “Tuta Gold” di Mahmood, seguiti dai “100 Messaggi” di Lazza e dalla sorpresa Tony Effe con “Sesso e Samba”. E l’elenco dei nomi si ripresenta puntuale tra gli album con “Icon” di Tony Effe, alle spalle di Geolier, poi “Vera Baddie” di Anna, Tedua con “La Divina Commedia” e Kid Yugi con “I Nomi del Diavolo”, anche qui in un dominio incontrastato del rap-trap italiano che mette poi in fila Lazza, Sfera, Capo Plaza e Simba La Rue. Tutto materiale locale, prodotto e consumato nel mercato interno.

Se per un momento si consulta poi la stravagante chart degli artisti italiani ascoltati all’estero, una macchina del tempo ci sottopone i nomi di Raffaella Carrà, Andrea Bocelli, Eros Ramazzotti, Laura Pausini. Gigi D’Agostino, in fila dietro l’isolato fenomeno Måneskin (terzo anno di seguito al numero uno) e il laboratorio dance Meduza, con sortite di Gabry Ponte, Ludovico Einaudi e di un inossidabile compositore di evergreen come Antonio Vivaldi, uno che la sapeva lunga su come scrivere una hit: dobbiamo rassegnarci d’essere interpretati così, ai quattro angoli del mondo.

Se si vuole infine tentare una sintesi, non resta che certificare il palese alleggerimento culturale dei nostri consumi musicali e l’omologazione delle scelte che privilegiano la reiterazione di un sound rispetto alla selezione dei contenuti o all’amplificazione di uno stile: nella maggior parte dei casi si sceglie una risonanza, rispetto all’identificazione col messaggio o con le intenzioni degli artisti, che in un passato ormai lontano avevano la precedenza. Sennò, verrebbe da dire, staremmo freschi, visto di cosa parlano tante canzoni predilette dagli ascoltatori. Perciò una musica più lontana dai cervelli e più vicina a un wannabe tutto teorico. Sull’autobus che la mattina porta a scuola o alla corvée dalle nove alle cinque, si fantastica d’essere dei gangster pieni di diamanti, con la rombante piena di pupe alla porta o, in alternativa, un boyfriend formato tappetino. Però aspettate, fatemi passare, devo scendere alla prossima.

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