L’ex pm di Trani è stato condannato in via definitiva per aver minacciato dei testimoni e poi sospeso dal Csm per due anni. La sospensione, però, è a carico dei contribuenti: Ruggiero riceve circa 4.500 euro al mese come assegno alimentare, per non fare niente
Quattromilacinquecento euro al mese per non fare niente per due anni. Consiste in questo, nei fatti, la sanzione disciplinare comminata dal Csm nei confronti del magistrato Michele Ruggiero, condannato in via definitiva per tentata violenza privata su testimoni. Può accadere anche questo nel paese dei balocchi delle toghe, che però si lamentano per i presunti attacchi alla propria credibilità. Ad aprile il Csm ha inflitto a Ruggiero la sanzione della sospensione per due anni dal lavoro proprio in seguito alla condanna ricevuta sul piano penale: quando era in servizio alla procura di Trani (prima di passare a Bari), durante alcuni interrogatori Ruggiero ha minacciato dei testimoni per costringerli a incolpare alcuni imputati di aver preso tangenti. Alla fine della sospensione, Ruggiero tornerà in ruolo come giudice civile a Torino. Ma il punto è un altro: la legge che disciplina gli illeciti disciplinari ai magistrati (d. lgs. n. 109 del 2006) prevede che “al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare”. La somma dipende dalla classe stipendiale raggiunta dalla toga. In questo caso, dal Bollettino ufficiale del ministero della Giustizia risulta che nel 2017 a Ruggiero sia stato riconosciuto il superamento della quinta valutazione di professionalità, per uno stipendio annuo lordo di 105 mila euro. Non è possibile sapere ovviamente a quanto ammontava lo stipendio di Ruggiero al momento della sanzione disciplinare. Considerando gli scatti biennali nel frattempo intervenuti si potrebbe immaginare, per difetto, una cifra pari a circa 110 mila euro. La legge prevede che al magistrato sospeso in quinta classe stipendiale sia corrisposto un assegno alimentare pari alla metà dello stipendio: 55 mila euro all’anno, 4.500 al mese (lordi). Per non svolgere l’attività. Non male come punizione. Più che una sanzione sembra un incentivo per le toghe a commettere illeciti.
Michele Ruggiero non è un magistrato qualsiasi. Per anni è stato simbolo della magistratura tranese per le sue clamorose inchieste, molto mediatiche ma tutte terminate con archiviazioni e assoluzioni, come quella sui presunti complotti contro l’Italia da parte delle agenzie di rating (condotta indossando in tribunale una cravatta tricolore). Proprio per queste sue indagini contro la finanza era diventato un punto di riferimento per diversi partiti, come il M5s (che lo volle consulente della commissione d’inchiesta sulle banche), Sinistra italiana e Fratelli d’Italia (che lo invitò pure ad Atreju come esempio di “patriota”). Col tempo, però, è emersa la particolarità dei metodi di indagine usati da Ruggiero.
Nel gennaio 2023 il pm è stato condannato in via definitiva, con il collega Alessandro Pesce, rispettivamente alla pena di sei mesi e quattro mesi per tentata violenza privata, con l’accusa di aver minacciato dei testimoni per costringerli a incolpare degli innocenti. E’ rimasta scolpita negli annali la frase “Conosceva la città di Trani? E’ bellissima… guardi dal carcere c’è una visuale sul mare stupenda”, rivolta da Ruggiero a uno dei testi, anche se le minacce sono state in altre occasioni persino più pesanti. Per questa vicenda il Csm ha punito disciplinarmente Ruggiero con la sospensione dal lavoro per due anni, seguito dal trasferimento e dal cambio di funzione: ad aprile 2026 l’ex pm di Trani andrà a fare il giudice a Torino. Peccato, come abbiamo detto, che i due anni di sospensione – già cominciati – sono a carico dei contribuenti: Ruggiero riceve circa 4.500 euro al mese per non fare niente. Una cifra che si fa fatica a inquadrare come “assegno alimentare”.
Che credibilità ha un sistema disciplinare che punisce un pm, con una condanna alle spalle così grave, sospendendolo per due anni dalle funzioni, ma pagandolo con 4.500 euro al mese, per poi reintegrarlo mandandolo a fare il giudice?
Ma questo è solo uno dei tanti paradossi del caso Ruggiero, che nel frattempo, a fine novembre, è stato condannato dal tribunale di Lecce a tre anni e nove mesi di reclusione e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, con l’accusa di falso ideologico per aver alterato i verbali di alcune persone informate sui fatti in un’inchiesta del 2014, che portò all’arresto dell’allora sindaco di Trani Luigi Riserbato e di altre cinque persone. A Ruggiero era stato addebitato anche il reato di violenza privata nei confronti dei testimoni escussi (come nella vicenda che lo ha portato alla condanna definitiva), ma in questo caso è intervenuta la prescrizione.
Ruggiero tornerà a svolgere le funzioni prima che questo secondo processo in corso a Lecce possa giungere a sentenza definitiva. Come potranno i cittadini avere fiducia nella giustizia quando si ritroveranno di fronte un magistrato condannato definitivamente per tentata violenza su testimoni e, in via non definitiva, per aver falsificato atti giudiziari?
E pensare che, come abbiamo scritto pochi giorni fa, le nuove leve della magistratura, i cosiddetti “giudici ragazzini”, all’ultima assemblea dell’Anm si siano pure lamentate (nell’ovazione generale) del fatto che una delle prime lezioni che sono stati chiamati a seguire nel periodo di formazione riguarda proprio gli illeciti disciplinari, cioè l’etica e la deontologia dei magistrati. Grande scandalo (possono dormire sonni tranquilli, verrebbe da dire).
E pensare, infine, che il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, si sia schierato contro l’istituzione della giornata in memoria delle vittime degli errori giudiziari perché “il pericolo è di indurre sfiducia pubblica”. Chissà, secondo Santalucia, cosa induce nell’opinione pubblica il caso di Michele Ruggiero.