La recensione del libro di Abel Quentin, Edizioni e/o, 336 pp., 19 euro
Pensa davvero di poter provare un decimo di quello che prova un immigrato? Non pensa che sia ora di lasciarli parlare, i ‘figli d’immigrati’? Di non confiscare più la loro voce?”. Inizia così Il veggente d’Étampes di Abel Quentin. La questione, come spiega Jean Roscoff, il protagonista bianco e voce narrante del libro, sarà più chiara dopo che gli avvenimenti avranno fatto il loro corso e il professore di Storia della Guerra fredda a Parigi finirà al centro di un processo inquisitorio globale. Per capire la potenza di questo libro, selezionato per il Premio Goncourt, saltiamo dal nostro lato dello specchio.
Carole Hooven è una biologa evoluzionista che ha insegnato per qualche anno a Harvard, esperta di endocrinologia comportamentale e autrice di un libro sul testosterone. A fine luglio del 2021, Hooven fu ospitata da Fox News per parlare di sessi biologici e dell’importanza di parole come “maschio” e “femmina” nelle discussioni scientifiche. A seguito del suo intervento da esperta universitaria, la direttrice della task force “Dei” del suo dipartimento a Harvard, la neolaureata Laura Simone Lewis, pubblicò un tweet accusando Hooven di transfobia. Hooven rispose con un tweet che attirò inevitabilmente molte critiche – in alcuni casi anche commenti di odio – nei confronti di Lewis, che denunciò la cosa cercando di passare per vittima. Harvard abbandonò Hooven, costretta dunque a dimettersi.
Jean Roscoff è come Carole Hooven e decine di altri studiosi reali, sparsi per l’occidente. Lui, tramortito “dall’invasione radical chic”, per usare una definizione di Quentin, è colpevole di non essere abbastanza nero per parlare di neri e troppo bianco per scrivere di neri, un razzista inconsapevole. Un personaggio houllebecquiano, rancido, alcolista, perduto ma pur sempre innocente, distrutto dal giustizialismo culturale, contro cui spesso – ed è questa la sottile originalità della tesi di Quentin – si impongono mostruosità populiste uguali e contrarie al cosiddetto woke, da cui Roscoff si tiene bene alla larga. Quentin racconta in modo saliente e senza retorica, alla maniera di Zola o Balzac, in che modo il nostro mondo sia diventato inospitale per chiunque non si esprima a favore di logiche manichee, tra una sinistra che, per dirla con Sciascia, ha nostalgia dell’Inquisizione e una destra che si finge liberale solo perché non è lei ad avere in mano la fiaccola per accendere il rogo. Un mondo che si occupa di torturare gli uomini liberi più di quanto non si impegni a dar loro il colpo di grazia: “Sui social i commentatori hanno intravisto qualcun altro, qualcosa d’altro. Si sono allontanati, senza degnare di uno sguardo il mio cadavere ansante. Non mi hanno finito”. Un mondo che prosciuga l’anima e passa oltre.
Il veggente d’Étampes
Abel Quentin
Edizioni e/o, 336 pp., 19 euro