Da Vienna a Taiwan, dal passato più remoto al futuro fanta-tecnologico, dai palazzi del potere agli appartamenti dei millennial. Romanzi e saggi, umorismo e serietà. Ecco i consigli di lettura foglianti di quest’anno
Redattori, collaboratori e amici del Foglio hanno selezionato uno o più titoli per una ideale lista di libri dell’anno. Buona lettura.
Federico Rampini
“Grazie, Occidente!” (Mondadori)
Jonathan Haidt
“La generazione ansiosa” (Rizzoli)
Non uno ma due libri per Natale. Il primo riguarda il futuro dell’occidente ed è dedicato a tutti coloro che ogni volta che sentono parlare male dell’occidente vorrebbero, popperianamente, prendere a schiaffi il prossimo, perché la tolleranza nei confronti degli imbecilli ha pur sempre un limite (il libro è di Federico Rampini, “Grazie, Occidente!”, Mondadori). Il secondo libro riguarda il futuro dei nostri figli. Lo ha scritto Jonathan Haidt, un celebre psicologo americano, autore di libri di successo sulla famosa Generazione Z, ed è un libro che può aiutare i genitori a capire qualcosa di più sui propri figli, sul loro rapporto con la tecnologia, e che può permettere di trovare le parole giuste per affrontare una fase della vita delicata, quella che coincide con una doppia domanda. Papà, posso avere un telefono? Papà, posso andare sui social? Haidt spiega bene quali sono le conseguenze dell’essere genitori che puntano sull’iperprotezione come chiave unica per proteggere i figli e spiega che in fondo per rispondere a questa domanda la chiave è una e solo una: smetterla di interpretare il rapporto con i propri figli come una storia d’amore inversamente proporzionale al numero di regole offerte ai propri figli. I genitori chioccia non proteggono i figli, ma quelli eccessivamente libertari espongono i figli a pericoli che i genitori non vogliono vedere. Impararlo a memoria. “La generazione ansiosa”, Jonathan Haidt, Rizzoli.
Claudio Cerasa
Varlam Šalamov,
“Tra le bestie la più feroce è l’uomo” (Adelphi)
La Kolyma compare dopo oltre cento pagine, dopo i taccuini e i ricordi degli anni Venti a Mosca, aveva poco più di vent’anni, e gli appunti pieni di eloquenti silenzi sui terribili Trenta. Non i “Racconti” della Kolyma, il libro più potente (dire “bello” suona quasi come un’offesa) sul Gulag e, forse, dell’intera memoria degli universi concentrazionari del Novecento. Qui ci sono note, improvvisi, ricordi, riflessioni sulla necessità o meno della memoria. “Ho molti dubbi, troppi. E una domanda che chiunque scriva memorie, qualunque scrittore grande o piccolo, conosce: servirà a qualcuno questo mio mesto racconto?”. Taccuini e diari ritrovati compongono questo volume, nuovo incontro con un eccezionale scrittore. Che sarebbe stato grande anche se non avesse trascorso sei anni nelle miniere d’oro della Kolyma e complessivamente venti nel Gulag. Ci sono ritratti e incontri dopo la riabilitazione (l’amato Pasternak e altri). Ma la parte che da sola dà la misura del talento ironico e morale, e letterario, di Šalamov sono le prime cento pagine, il racconto caustico della Mosca anni Venti, dove sembra che la letteratura possa davvero far parte della rivoluzione. E dove invece brillano stelle assai posticce come il troppo esaltato (e poi abbandonato) Majakovskij. E in poche pennellate, invece, ecco i grandi, gli scrittori “veri” che meritano rispetto: Bulgakov, un Pasternak appena intravvisto, Platonov, e venti righe magnifiche e fulminee su Florenskij. Quel “sottobosco luminosissimo” fu sradicato presto. Dopo lo stalinismo ecco la possibilità di scrivere, per un uomo che era tornato “dall’inferno”.
Maurizio Crippa
Anne Applebaum
“Autocrazie” (Mondadori)
Anne Applebaum scrive in “Autocrazie” che “nessun paese è condannato alla dittatura proprio come nessun paese ha la propria democrazia garantita”. Nei saggi, negli articoli, nelle conversazioni di questa autrice straordinaria, si ritrova ogni volta la possibilità di un cambiamento, la convinzione che la libertà è una scelta oltre che un desiderio. Applebaum ha raccontato i gulag sovietici e l’Holodomor ucraino senza risparmiare a noi lettori dettagli spietati, ma restando lì, a tenerci la mano, convinta della salvezza. Ho riletto alcune parti di “Autocrazie” nei giorni in cui è caduto il regime siriano, anello di un’alleanza di regimi che molti s’ostinano a considerare vincente, confondendo la forza bruta con la stabilità; ho pensato al saggio di Yaroslav Trofimov, giornalista del Wall Street Journal, “Our enemy will vanish”, il racconto dei primi mesi dell’invasione russa in Ucraina, che è la storia di una resistenza tenace e indefessa, ho pensato a “Zelensky story”, il documentario della Bbc sul presidente ucraino che resta a Kyiv sotto attacco mentre il dittatore siriano scappa dal paese che ha straziato: i regimi sembrano eterni e invincibili, poi un giorno non lo sono più.
Paola Peduzzi
Luca Ricolfi
“Il follemente corretto” (La nave di Teseo)
In pochissime pagine, Luca Ricolfi, probabilmente meglio di chiunque altro, riesce a spiegare perché, dovunque, in America e in Europa, a vincere è la destra, da Giorgia Meloni a Donald Trump. Perché? Beh, perché la sinistra si è completamente bevuta il cervello. Ecco. E allora vi consiglio questo libro per Natale: “Il follemente corretto. L’inclusione che esclude e l’ascesa della nuova élite”. In questo saggio di Ricolfi, garbato sociologo che una pubblicistica non meno ubriaca della politica adesso ascriverà alla destra, viene compilata una fenomenologia del politicamente corretto, anzi del “follemente corretto”. Ricolfi ci spiega, con esempi e non poca ironia, cose di cui purtroppo ci siamo già accorti anche noi ma solo su un piano superficiale. Epidermico. Lui ci fa intravvedere le preoccupanti conseguenze. Ovvero, per esempio, che se non convieni sul fatto che il sesso non esiste e quello che conta è l’identità di genere, sei un troglodita. Peggio: sei un fascista. Fai schifo. Circondati come siamo da neopuritani, colonizzati dal wokismo americano, imitatori degli eccessi statunitensi, imbrattatori o abbattitori di statue, gente che infila pronomi nelle bio dei suoi account social, non possiamo che dichiararci sconfitti e manifestare l’ultimo gesto dell’uomo in rivolta: leggere Ricolfi. E osservare tanta gente di sinistra che non ne può più, e vota a destra. Sperando che passi la nottata.
Salvatore Merlo
Franco Cardini
“Vienna” (il Mulino)
“A Vienna la storia diventa subito leggenda”, scrive Franco Cardini nel suo Willkommen, il benvenuto al lettore che s’accinge a leggere questa particolarissima guida della città che fu capitale dello sterminato Impero asburgico. Fu questo, Vienna, ma fu anche tanto altro. Capitale tra le più chic d’Europa per secoli e confine ultimo della cristianità minacciata dai turchi; simbolo tra i più sfolgoranti della Belle Epoque ed esempio vivo della decadenza tra le due guerre. Vienna, unica e contraddittoria. Vecchissima e moderna. Romana e poi gotica, asburgica e poi proletaria. Inizio di un mondo nuovo e fine di quello vecchio. Tra il verde dei suoi parchi, i giri di valzer di Strauss, le opere di Mozart, i quadri di Klimt. Tra i suoi vini pregiati, le Wiener Schnitzel, la pasticceria ineguagliabile. Affascinante e nostalgica, che ti lascia sempre quel senso di Storia perduta: sia che tu guardi – come il Trotta di Joseph Roth – il sarcofago di Francesco Giuseppe nella Cripta dei cappuccini, che tu accenda una candela vera nella cattedrale di Santo Stefano o che tu ti distenda pensieroso sull’erba del Prater.
Matteo Matzuzzi
Luciano Capone e Carlo Stagnaro
“Superbonus. Come fallisce una nazione” (Rubbettino)
Ce l’ho davanti, è il mio compagno di stanza, mi presta sempre il caricatore del cellulare e poi, soprattutto, Luciano Capone ha scritto un libro (con Carlo Stagnaro) sul Superbonus, su come fallisce una nazione. Un tomo pieno di numeri e fatti, dati allarmanti e inappellabili, a cui annuisco robotico da quando il governo Conte 2 ha avuto questa pensata. Fatevi un’idea, compratelo e avrete un argomento forte e non di facciata (da tempo sognavo questa battuta) sotto le feste di Natale, e pensate comunque al mio cellulare che è sempre scarico. C’è poi un altro libro che vorrei mettere in mezzo e condividere: lo ha partorito Gianluca Peciola, romano “de sinistra” che ci crede, conosciuto quando seguivo in un’altra vita il Campidoglio, e riguarda la storia della sua famiglia (si intitola “La linea del silenzio”, Solferino). Sembra un film, ma è tutto vero: è la sua storia, quella di un ragazzo che fa i conti con la vita, con una cugina che invece scopre essere la sorella. In mezzo ci sono la lotta armata e le sbarre, il terrorismo e la politica. La grande storia e il dramma dentro le mura di una casa. Il tris si chiude con una chicca che mi è capitata sotto gli occhi in questi giorni. E’ un raccontino di Guy de Maupassant: “Quel porco di Morin”. E’ datato 1882, ma resta attualissimo.
Simone Canettieri
Benjamín Labatut
“Maniac” (Adelphi)
Leggete “Maniac” di Benjamín Labatut, uno scrittore eclettico nato a Rotterdam, che vive in Cile e che scrive in inglese (in Italia il libro è uscito per Adelphi). A tratti ricorda gli ultimi due romanzi “scientifici” di Cormac McCarthy. Labatut racconta le vite tragiche e romantiche degli scienziati che, nella seconda metà del XX secolo, hanno forgiato il nostro mondo, in particolare John von Neumann, che ha partecipato allo sviluppo della bomba atomica, che ha inventato l’antenato del computer e che è all’origine dell’intelligenza artificiale. Ossessione, genio, ragione, tenebre, progresso, tutto si tiene in Labatut. Non capita tutti i giorni che un libro stimoli la riflessione in ogni pagina. A cominciare dalla prima: uno scienziato ebreo che uccide il figlio down e se stesso l’anno in cui Hitler sale al potere. Un indizio della strage futura degli “inadatti a vivere” e degli ebrei nel secolo del castello di Barbablù.
Giulio Meotti
Eve J. Chung
“Le figlie di Shandong” (Corbaccio)
Eve J. Chung fa l’avvocata dei diritti umani a New York, e ha scritto un libro essenziale per capire la storia fra la Repubblica popolare cinese e Taiwan, la sua evoluzione e il modello di democrazia e progressismo che è diventata oggi. L’ha scritto basandosi sui racconti che le faceva sua nonna, che era scappata dalla provincia cinese dello Shandong prima a Hong Kong e poi a Taiwan, e moltissimi come lei, per sfuggire alla furia delle armate comuniste di Mao. E’ un romanzo che è anche un affresco di quella parte di mondo cinese della fine degli anni Quaranta. “Le figlie di Shandong” è uscito a maggio in inglese e Corbaccio l’ha fatto uscire soltanto pochi mesi dopo in italiano, tradotto da Maria Elisabetta De Medio. (Giulia Pompili)
Basilio Milio
“Ho difeso la Repubblica. Come il processo trattativa non ha cambiato la storia d’Italia” (L’ornitorinco)
Nel novembre 2023 la Corte di cassazione ha demolito la più grande bufala giudiziaria, mediatica e storica degli ultimi venti anni, quella della cosiddetta “trattativa stato-mafia”, assolvendo i servitori dello stato che indegnamente sono stati messi alla gogna per tutto questo tempo, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Nonostante ciò, ancora oggi in molti continuano a credere che la Trattativa sia veramente esistita, a causa anche dell’eccezionale sponsorizzazione che per anni la vicenda giudiziaria ha ottenuto dall’antimafia militante e da certi organi di informazione. In questo libro l’avvocato Basilio Milio, legale del generale Mori, colui che nel 1993 ebbe il merito di catturare Totò Riina, racconta come sia riuscito a demolire, punto per punto, il teorema della Trattativa imbastito dalla procura di Palermo. Un processo senza reato, che aveva come obiettivo quello di infangare i Carabinieri e riscrivere la storia d’Italia. Conoscere come siano andate veramente le cose è dovere civico di ogni cittadino.
Ermes Antonucci
Michel Vieuchange
“Smara. Taccuini di viaggio” (Settecolori)
Per il Bianco Natale consiglio una lettura che vi scalderà le ossa, ambientata nel giallissimo deserto del Sahara. “Smara” non è un luogo dai contorni mitici ma è il cammino stesso, quello intrapreso nell’ignoto. Nel caso dell’esploratore francese degli anni Trenta Michel Vieuchange, il primo occidentale a raggiungere la città del Marocco, è un pellegrinaggio fatto di pietre aguzze, sabbia, pidocchi, fame, sete e predoni. Le frasi sono asciutte come il deserto, semplici e brevi come chi deve cercare le parole mentre tenta di rincorrere qualcosa. E’ la fatica di chi vuole dominare se stesso e assecondare le proprie folli e ostinate aspirazioni. Spoiler: alla fine Vieuchange muore. Buon Natale!
Luca Gambardella
Isaac Bashevis Singer
“Alla corte di mio padre” (Adelphi)
Non tutti i mondi antichi sono piccoli. Alcuni sono enormi mondi antichi, sono stravaganti mondi antichi. Molto spesso sono mondi antichi sepolti. I personaggi che si dimenano in “Alla corte di mio padre” del premio Nobel Isaac Singer sono tutti morti. E non perché il tempo li ha cancellati come accade a tutti noi esseri umani, ma perché sono stati sterminati durante l’Olocausto e tra i pochi superstiti ci sono tre dei quattro fratelli Singer: Isaac, Israel, Esther, i ribelli di una stirpe di rabbini. La morte esce nei quadri del libro edito da Adelphi tra i mille colori, tra le scene spumeggianti di una quotidianità sepolta, in una Varsavia trasformata poi in macerie e adesso nell’energia viva e vorace di una città che non smette di evolversi. Il libro di Singer è un insieme di quadri, racconti di una società ebraica che non esiste più, che è stata cancellata con i suoi riti, le sue convinzioni. Singer ricorda che suo padre, per non ammettere che i suoi due figli fossero due scrittori (e scrittori di incontenibile talento), preferiva dire che facessero i giornalai e così si salutarono per l’ultima volta: con il padre che domandava a Isaac e Israel avvistati dall’altro lato della strada se vendessero ancora i giornali. Non c’è giudizio nelle parole dello scrittore, c’è una nostalgia che sfuma in teatro, si dissolve religiosamente nell’attimo prima della grande tragedia.
Micol Flammini
Alexei Navalny
“Patriot” (Mondadori)
Il libro dell’anno per me è “Patriot” di Alexei Navalny. Non solo per il dolente diario del carcere, duecento pagine asciutte e per questo ancor più drammatiche. Quel che mi ha colpito è il racconto anch’esso essenziale, intenso, ma privo di invettive o tirate propagandistiche, della sua formazione prima nella città militare dove viveva con il padre soldato, in una famiglia metà russa metà ucraina; poi tra le illusioni nate dal crollo dell’Unione sovietica e del comunismo, imploso, collassato su se stesso; infine nella voglia di “un paese normale, ricco, governato dalle leggi” presto repressa dal regime putiniano. Emerge innanzitutto una continuità impressionante col passato, al di sotto della fuffa sulle liberalizzazioni, il mercato e il capitalismo che abbiamo ascoltato tanto a lungo. La più grande tragedia geopolitica del secolo non è stata la fine dell’Urss, ma l’incapacità di uscire dalla sua ombra lunga e oscura. “Se mi chiedete perché odio Putin – scrive Navalny – non è perché ha cercato di uccidermi o perché ha sbattuto mio fratello in prigione, ma perché ci ha rubato gli ultimi vent’anni. Avrebbero potuto essere incredibili. Non avevamo nemici. La pace regnava oltre le frontiere. I prezzi del petrolio e delle materie prime erano incredibilmente alti. I ricavi delle esportazioni erano enormi. Putin avrebbe potuto usare quegli anni per trasformare la Russia in un paese prospero. E tutti noi avremmo potuto vivere meglio”. Anziché sproloquiare sull’assedio dell’occidente e i complotti americani bisognerebbe partire da qui. Né come la Cina, né come l’America, né come l’Europa. La Russia di Putin non produce nessuna cosa bella che piaccia al mondo, non è un modello per nessuno. Perché?
Stefano Cingolani
Lawrence Osborne
“Santi e bevitori” (Adelphi)
Un libro per bevitori e uno per astemi. Per i bevitori: “Santi e bevitori” di Lawrence Osborne (Adelphi). E’ il mio libretto di giustificazioni dopo le ore 21: “Se per tutti questi anni fossi stato sobrio, oggi non sarei qui”. Per gli astemi: “Il romanziere” di Simenon (Henry Beyle), lo scrittore belga che selezionava così i giornalisti della sua redazione: “Se oggi mi trovassi al posto del direttore, e vedessi entrare in ufficio un aspirante reporter diciassettenne per metà spavaldo e per metà intimidito, che trema come una foglia, credo di sapere cosa gli direi, con tutta la delicatezza possibile: ‘Mio giovane amico, la assumo. La assumo, pur essendo quasi sicuro che il più delle volte la sua carta asciugherà pagine di romanzo, non cronache locali’”.
Carmelo Caruso
Kaveh Akbar
“Martire!” (La nave di Teseo)
Dovendo scegliere un solo titolo per tutto il 2024 sarebbe “Martire!” Di Kaveh Akbar (La nave di Teseo). “Un romanzo d’esordio infestato dalla morte e incandescente di vita”, l’ha definito il New York Times, e forse non c’è altro da aggiungere. Ma siccome i libri sono come le bottiglie di vino, e uno solo è poco, metterò sul tavolo pure un poliziesco indimenticabile e beverino, che espande i confini del genere: “Il Dio dei boschi” Di Liz Moore (NN Editore). C’è un po’ di “Moonrise Kingdom” e un po’ di “Stand by Me”, i campeggi estivi, i tredici anni, ti ricordi? Le paure bambine da mettere alla prova, falò clandestini e prime cotte. Ma è molto più di un giallo su Pollicini perduti nei boschi. E’ un romanzo che parla del potere e delle sue gabbie, dell’enormità della perdita e del bisogno di trovare un capro espiatorio. E anche di seconde possibilità. Infine un audiolibro, per chi come me ha occhi pigri e orecchie golose: “Me parlare bello un giorno” (Audible), scritto vent’anni fa da David Sedaris e invecchiato benissimo in barrique. Fiction autobiografica: una paradossale, acuminata, irresistibile serie di racconti, qui resa ancora più godibile dalla lettura di Giancarlo Ratti (sì, quello di “Il ruggito del Coniglio”).
Enrico Cicchetti
Marco Ballestracci
“Preludio e fuga di Riccardo Klement” (Alphabeta Verlag)
Ci sono piccole storie nelle grandi storie che a volte ci stupiscono e riescono a chiarirci quanto sia complicata, sfaccettata, estremamente complessa la storia che abbiamo in un modo o nell’altro imparato a scuola. Perché c’è molto di più di date, guerre, governi, cambiamenti geografici e politici negli avvenimenti che hanno modificato il corso della Storia. Soprattutto ci sono vite, quelle di donne e uomini che spesso non entrano nella Storia, ma che sono comunque passate attraverso di essa. Vite che non fanno notizia, figuriamoci storia, ma che, a volte, meritano di essere raccontate. E poco importa se il racconto è vero veramente o solo ispirato a. Marco Ballestracci in “Preludio e fuga di Riccardo Klement” (Edizioni Alphabeta Verlag, 218 pp., 15 euro) racconta una piccola storia di confine durante quella grande storia che è stata la Seconda guerra mondiale. Un storia che inizia prima della guerra e finisce dopo, o meglio inizia dopo, finisce dopo, ma attraversa anche il prima e il durante. Una storia di criminali, di chiesa, di politica e di fede. Soprattutto una storia di vite perse, ritrovate, sconvolte, fuggiasche, colpevoli e mai innocenti. Un libro dolce e crudele, di quelli che forse non si regalano a Natale. Poco male. I regali non scontati sono quelli che superano la dimenticanza.
Giovanni Battistuzzi
Sally Rooney
“Intermezzo” (Einaudi)
Ho letto tutti i libri di Sally Rooney, l’incredibile giovane scrittrice irlandese di “Parlarne tra amici”, il suo libro di debutto che, anni fa, ho divorato in un pomeriggio d’estate in Grecia, ipnotizzata dal ritmo e dalla prosa di quella storia che sembrava prendere a schiaffi il lettore. Che cosa succede nei libri di Sally Rooney? Tutto e niente, cose che hai pensato mille volte, cose indicibili, ma ogni riga sembra parlarti guardandoti negli occhi. Ogni riga arriva diretta a qualche parte di te che pensavi riposasse sotto altro. E in “Intermezzo”, l’ultimo romanzo, Rooney compie un giro di giostra irresistibile e feroce attorno alle altre vite che avremmo potuto avere – una, due, nessuna? – se a un certo punto non ci fossimo messi a vivere questa, perché ci andava o perché ci siamo trovati lì, in quel momento, quel giorno. Ecco, Rooney scrive proprio dall’interno di quel punto, dall’ora esatta in cui si comincia a vivere prendendo una qualsiasi via, con improvvisa accelerazione, a venti o a trent’anni, magari inconsapevolmente, magari con rabbia, magari lasciandosi irretire da un’esistenza “mutilata dalle circostanze”, come dice a un certo punto uno dei due protagonisti, i fratelli Peter e Ivan. E forse è stato un bene, questo pensi. Fino a che non arriva l’intermezzo a rovesciare il tavolo o a ridisegnare il senso. Un qualsiasi senso.
Marianna Rizzini
Aurelio Picca
“La gloria” (Baldini+Castoldi)
Non sono un consigliere, sono un testimone, non consiglio mai libri, ognuno legga ciò che vuole, semplicemente continuo a manifestare il mio entusiasmo per “La Gloria” di Aurelio Picca (Baldini+Castoldi). Perché questo mi fa Picca: mi entusiasma. Non mi fa riflettere, mi esalta. Non mi fa ragionare, mi fa appassionare. Ed è difficile entusiasmarmi, esaltarmi, appassionarmi: sono uomo atarassico. Ma semel in anno licet insanire e posso ben fare un’eccezione natalizia al mio consueto distacco. Ode a Picca, dunque. Che prima di essere un grande scrittore è un grande uomo, un grande personaggio. O si vive o si scrive, diceva Pirandello in polemica con D’Annunzio, e Picca lo smentisce con questi inebrianti racconti sportivo-autobiografici. Che vita! E che arte! Qualche altro buon libro il 2024 me lo ha pure portato ma soltanto Picca dimostra che la grandezza in letteratura è ancora possibile.
Camillo Langone
Antonio Franchini
“Il fuoco che ti porti dentro” (Marsilio)
Per fortuna ogni tanto qualcuno si ricorda ciò che deve fare un romanzo: andare fino in fondo e dire soprattutto l’indicibile, dotandosi – oseremmo pretenderlo – di una superficie espressiva energica, vivace, capace di spezzare la nostra ripetizione interiore e di regalarci l’esperienza originale, quella irripetibile. Qui c’è Angela, l’impossibile Angela Izzo, che puzza, è malvagia e ne ha sempre una per tutti – una benedizione per il lettore, sanguinaria e cannibalesca com’è. Angela che è il punto nevralgico di un senso dell’appartenere e del non appartenere che non riguarda solo mamma e famiglia o Napoli e Milano, ma tutto, e tutte le scelte della nostra vita. E’ un romanzo che ci racconta una famiglia e tutta una serie di figure di minori che sono maggiori e che ci fanno sentire, letteralmente, il tempo, il suo incalzare, le nitidezze illusorie e le insolubili oscurità che ci consegna. “Un mondo di zoccole”, Angela dixit. E di amore che non sappiamo mai, mai dire.
Marco Archetti
Alessandro Gori
“Gruppo di leprecauni in un interno” (Rizzoli)
Il libro dell’anno, sul versante serio, è senz’altro “Il fuoco che ti porti dentro” di Antonio Franchini, ma immagino/spero che qualcun altro ne parli. Invece temo che Alessandro Gori non sia così noto, perciò ne parlo qui io, sperando di guadagnargli qualche lettore. Alessandro Gori è lo scrittore-performer che una volta si faceva chiamare “Sgargabonzi”, e che adesso ha ripreso il suo nome. “Gruppo di leprecauni in un interno” è una raccolta di racconti che parla soprattutto di mostri. Gori sa quanto possono essere crudeli o falsi o ignari di sé stessi o semplicemente stupidi gli esseri umani: come accade nella comicità più intelligente, nelle sue pagine il sorriso o il riso derivano dalla deformazione caricaturale di tare, di vizi del carattere che in modalità meno abnormi non si fa fatica a cogliere nel popolo di sciagurati che si esibisce nella società e in rete. Qui abbiamo per esempio (mostruosità in rete) l’adolescente cretina che racconta su Facebook l’agonia e la morte di suo padre: “Sono già passate alcune ore, ma ancora non riesco ad accettare la morte di mio padre. Penso sia normale. Mettete like se pensate che è normale”. O abbiamo (mostruosità nella vita reale) i ristoratori romani che brutalizzano gli avventori non a loro agio con i codici della romanità: “… E guai a chiedergli cos’è la coda alla vaccinara, la pajata o la papalina pure nel momento in cui uno non l’ha potuto cercare in autonomia perché internet in quel tugurio non prende. ‘Avete per caso il wi-fi?’. ‘Eh certo, qua siamo Elon Musk. Vai bello, vai…’, e ti accompagnano all’uscita con un calcio in culo”. Uno dei compiti della letteratura – soprattutto a Natale! – è ricordare al lettore quanto possa essere velenosa la pianta-uomo: mi pare che nessuno lo sappia dire con l’intelligenza, la fantasia e l’umorismo di Gori.
Claudio Giunta
Neil Gorsuch e Janie Nitze
“Over Ruled: The Human Toll of Too Much Law” (HarperCollins)
Marty Hahne ha letto un libro su Houdini a nove anni, e da allora non ha pensato ad altro. Fa il college, poi lavoretti, poi finalmente il prestigiatore di professione. Intrattiene soprattutto bambini, fa feste di compleanno e simili, il che gli dà una certa soddisfazione. Ci sono cose però, alle quali non ti prepara nessun libro e a cui nessun trucco ti consente di sfuggire. Dopo uno spettacolo in una biblioteca del Missouri, una donna gli si avvicina, gli mostra il distintivo e gli chiede se abbia regolare licenza per il coniglio che ha estratto dal cilindro. Anni prima il Congresso ha approvato una norma che richiede a quanti utilizzano animali per scopi di ricerca di avere una licenza. Poi la legge è stata estesa a circhi e zoo, ma la formula adottata riguarda tutti coloro che “espongono animali”. Inclusi i maghi di provincia. Qualche anno dopo, la legge lo obbligherà pure a redigere un piano per le emergenze, 28 pagine in cui spiega come si comporterebbe in caso di terremoti, uragani, eccetera. Il libro del giudice della Corte suprema Neil Gorsuch e di Janie Nitze non è solo uno “stupidario” del diritto americano. Indaga le ragioni per cui siamo “ultra-regolati”. Se abbiamo troppe leggi è anche perché l’offerta di norme e provvedimenti incontra una domanda. Favori speciali travestiti da regole applicabili a tutti. O semplicemente il bisogno di sapere che lo stato “c’è” e fa qualcosa per il problema del momento. Le nostre catene sono il prodotto delle nostre ansie. Recuperare la dimensione locale della sperimentazione normativa e conoscere meglio l’attività dei parlamenti sono tentativi necessari, ma non sufficienti, a rimettere sotto controllo la macchina impazzita della legislazione.
Alberto Mingardi
Ananyo Bhattacharya
“L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John Von Neumann” (Adelphi)
“L’uomo venuto dal futuro” di Ananyo Bhattacharya non è il miglior libro del 2024. Tanto più che non è neppure un libro del 2024 (questa la data dell’edizione italiana). E’, però, fondamentale perché riporta l’attenzione su John von Neumann, formidabile genio matematico e altrettanto eccezionale ingegno pratico, creatore o corresponsabile di svariate invenzioni, tra cui quella del computer – oltre a essere stato consulente del governo americano su svariate armi di totale e completa distruzione. Von Neumann incarna, con algida lucentezza, lo spirito di un’intera epoca, intrappolata tra la volontà di sapere tutto e la coscienza di essere arrivati a un punto limite della conoscenza: quello secondo cui forse non possiamo più davvero sapere le cose ultime, e tantomeno le cose prime, attraverso una riflessione teoretica, ma dobbiamo solo sperimentare sperimentare e ancora sperimentare, senza avere paura davvero delle conseguenze. Solo per questa via radicalmente spregiudicata, allora, forse, potremo davvero sapere!
Michele Silenzi
Hans Joas
“Perché la Chiesa? Miglioramento di sé versus comunità di fede” (Queriniana)
Perché la Chiesa? Se vogliamo una risposta decisamente poco convenzionale a questa domanda, consiglio vivamente la lettura del libro di Hans Joas, “Perché la Chiesa? Miglioramento di sé versus comunità di fede” (Queriniana 2024). Di solito coloro che, a vario titolo, si occupano di religione tendono a considerare la Chiesa un semplice presupposto del loro lavoro oppure una sorta di reliquia del passato destinata a scomparire o quanto meno a trasformarsi radicalmente, magari in senso democratico. Joas segue un’altra strada. A suo parere una sociologia della Chiesa dovrebbe prendere come punto di partenza “il fatto sorprendente e convincente” che la Chiesa esiste, c’è. E c’è da oltre duemila anni. “Nessuno – dice Joas – può negare che si tratti di un fenomeno notevole; alcuni saranno persino tentati di vedervi una sorta di miracolo”. Di sicuro pochissimi stati possono vantare una simile continuità ininterrotta, ma soprattutto nessuno stato ha il carattere universalistico che la Chiesa rivendica per sé. La Chiesa che ci presenta Joas è una “cooperativa di credenti” orientati a un ideale, gerarchicamente ordinata secondo i suoi vari “ministeri”, che continua a esistere anche in contesti culturali come i nostri, rispetto ai quali essa potrebbe apparire addirittura come un controsenso. A garantire questa esistenza sta principalmente il fatto che nella chiesa vengono articolate esperienze fondamentali per l’uomo: quelle che Joas chiama esperienze di auto-trascendenza, senza le quali non capiremmo che cosa sia la fede né la religione.
Sergio Belardinelli
Eugenio Borgna
“In ascolto del silenzio” (Einaudi)
“Nel silenzio si ascoltano voci segrete, voci dell’anima, che sgorgano dalla piú profonda interiorità. Se non amiamo il silenzio è forse perché non vogliamo ascoltare quello che si agita nel nostro cuore, e rispondere alla voce che chiama dalle misteriose lontananze della nostra anima. Non lo amiamo insomma perché ci fa ripensare al senso della nostra vita, e alla importanza che hanno riflettere e meditare, immaginare e ascoltare la voce del cuore”. Il penultimo libro del grande psichiatra Eugenio Borgna (1930-2024). Un invito a provare ad affrontare quel silenzio che spesso non tolleriamo, e subito colmiamo di rumore, chat, tv, e voci di dj, alla radio, che parlano del nulla. Un suggerimento da un grande conoscitore d’anime: fronteggiare il silenzio, senza scappare. Non così facile come sembra. Ma il silenzio non è il nulla: è uno spazio interiore fecondo, che può suscitare una fascinazione. In chi resta ad ascoltare.
Marina Corradi
Christian Grataloup e Charlotte Becquart-Rousset
“Atlante storico mondiale” (L’ippocampo)
E’ l’edizione aggiornata e ampliata dell’atlante che gli stessi autori avevano curato in Francia nel 2019, e che si avvale del preziosissimo lavoro della rivista mensile L’Histoire, dotata di una sezione cartografica commovente per ampiezza e precisione. Rispetto ai tradizionali atlanti storici su cui abbiamo studiato da giovani, ha il pregio di associare a ogni mappa un codice per la visualizzazione online ma, ancor più, l’ambizione di raccogliere anziché accatastare: pretende infatti di unificare l’intera storia dell’umanità nelle capillari diramazioni dell’unica azione che ci accomuna tutti dalle origini ai giorni nostri, ossia occupare uno spazio e dire “questo è mio”. Ragguardevole, a questo proposito, la vertigine borgesiana causata dalla prima mappa, che raffigura lo schema dell’atlante stesso. Io lo uso come coffee-table book; un po’ perché è elegante, un po’ perché ogni tanto non ricordo qualcosa da controllare senza alzarmi dal divano, un po’ perché mi piace aprirlo a caso e scoprire dettagli sui tragitti dei commedianti nel Settecento o sull’accordo Sykes-Picot. Ma, soprattutto, perché tenerlo a portata di mano mi dà l’impressione di capire un po’ meglio il telegiornale.
Antonio Gurrado
Javier Marías
“Berta Isla” (Einaudi)
“Berta Isla” di Javier Marías. Parla di amore, di passioni e di menzogne. Cioè di tutto. Non è proprio un libro fresco, ha già qualche anno, ma vale la pena recuperarlo, e regalarlo. Invece, per i più audaci – o per litigare in famiglia – un libro del filosofo russo Pëtr A. Kropotkin, anarchico e rivoluzionario. Ma anche geografo, zoologo, sociologo e un po’ di altre cose. Eppure, nonostante tutto, inspiegabilmente ottimista.
Ruggiero Montenegro
Francesco Boer e Fabio Bortesi
“La ricetta dell’incanto” (Wudz)
Quelli che la carbonara si fa così, “mo’ te la spiego io”. Quelli che non c’è un modo solo, “questa è la mia versione”. Quelle su Tinder che andiamo al sushi. Quelle che no al sushi, sono team pizza. Quelli che il romanesco per spiegarti la ricetta, “facilissima”, e tu dai fuoco alla cucina provandoci. Quelli che recensiscono panini. Quelli che vanno agli stellati e si alzano a metà per fumare. Se il moderno feticismo per il cibo vi ha fatto venire per ripicca la voglia di smettere di mangiare, come gli essere umani fanno, e tornare a nutrirvi, come gli animali, magari a pane e acqua, “La ricetta dell’incanto” di Francesco Boer e Fabio Bortesi (Wudz) è una lettura consigliata. “Leggende, rituali e simboli dell’alimentazione”, per riscoprire il valore sacrale del produrre e del consumare insieme. Un libro ricco di miti, di Bibbia e di Vangelo. Ma realista: “Dovremmo sforzarci di riportare il senso e la sacralità della vita e del cosmo nella nostra èra devastata da secoli di avidità e utilitarismo, senza per questo rinunciare a quelle conquiste tecnologiche e culturali che hanno migliorato le nostre vite”.
Nicola Contarini
Vincenzo Latronico
“La chiave di Berlino” (Einaudi)
E’ un saggio, non una guida. Per cui la pretesa di scorgervi suggerimenti al fine di visitare la città da turista è sbagliata in partenza. Più che altro “La chiave di Berlino” di Vincenzo Latronico vi proietta nei bar sull’Oberbaumbrücke o sul Landwehrkanal, in quella fine degli anni Dieci del nuovo millennio in cui Berlino era uno “spazio pieno di vuoti”. Ora la città è molto cambiata, si fanno code di diversi isolati con un sacco di credenziali sottobraccio per accaparrarsi un appartamento sgarrupato a cifre ragguardevoli mentre tempo addietro gli studio te li buttavano appresso. Ma in poco più di un centinaio di pagine si imparano un sacco di cose che è divertente sapere se (ma anche no) vi si progetta un viaggio nell’anno venturo. Non solo la culture dei rave o il tanto famigerato Berghain, di cui è difficile anche solo parlare perché, come scrive Latronico, “il racconto si è logorato nella reiterazione del mito, finendo per somigliare a quei jingle pubblicitari ripetuti tanto ossessivamente da risultare nauseanti”. C’è una discrezione di cos’è stato (e in parte è ancora) in città l’ambiente legato all’arte contemporanea, una specie di indotto a cui molti si sono abbeverati fornendo un servizio: vendere pozze di linguaggio per dare senso alle opere. Anche chi ambisce solamente a mettersi in fila al club di cui sopra potrebbe arrivarci con alle spalle una lettura affatto banale. Anzi: dovrebbe diventare un prerequisito per entrare.
Luca Roberto