I “giudici ragazzini” dell’Anm sembrano più vecchi che mai

All’assemblea dell’Associazione nazionale magistrati le giovani toghe rivelano una preoccupante cultura dell’irresponsabilità. La formazione sugli illeciti disciplinari è vista come un attacco all’indipendenza è non come una tappa fondamentale per svolgere la funzione

Più che la mozione finale, con l’ennesima minaccia di sciopero contro la separazione delle carriere, a colpire dell’assemblea tenuta dall’Associazione nazionale magistrati lo scorso fine settimana sono le posizioni espresse dalle giovani toghe. L’assemblea ha visto un’ampia partecipazione di giovani magistrati, un fatto celebrato da alcuni quotidiani, che hanno montato tutta una retorica sui “giudici ragazzini” giunti a Roma, alla Corte di cassazione, da tutta Italia con i loro trolley per protestare coraggiosamente contro la riforma Nordio. L’intervento più applaudito all’assemblea dell’Anm è stato quello di Marta Zavatta, che un mese fa ha prestato giuramento come magistrato in tirocinio, per poi iscriversi subito all’Anm.

“Sono appena diventata magistrato e domani, quando andrò per la prima volta a Scandicci (alla Scuola superiore della magistratura, ndr), una delle prime lezioni sarà sugli illeciti disciplinari”, ha detto Zavatta, provocando gli applausi della platea. “Non abbiamo ancora le funzioni e già ci insegnano a crescere con la paura del disciplinare”, ha poi lamentato, generando l’ovazione dell’intera assemblea dell’Anm. Anche questo episodio è stato riportato da alcuni giornali come sintomo del malessere diffuso tra i magistrati contro il presunto restringimento dell’indipendenza da parte del governo Meloni. Peccato, però, che da sempre il tema degli illeciti disciplinari viene trattato nella prima settimana di formazione dei magistrati in tirocinio. E questo non per instillare “la paura del disciplinare”, ma – come recita il programma del 2024 – per “sensibilizzare i nuovi magistrati all’importanza del rispetto delle regole di comportamento nell’esercizio della professione e nella rappresentazione del proprio ruolo anche all’esterno degli uffici”.

La professione di magistrato, infatti, oltre alle conoscenze tecnico-giuridiche, “richiede anche e soprattutto capacità di equilibrio, di relazione, doti morali e di rigoroso rispetto di standard deontologici, profili culturali non solo strettamente professionali, qualità e volontà di dedizione al servizio pubblico” (programma del 2017). Concetti più volte ricordati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

La “paura del disciplinare” manifestata dalle giovani toghe, riprendendo meccanicamente le lamentele dei vertici dell’Anm, risulta pure immotivata rispetto alla realtà dei fatti: il numero di azioni disciplinari nei confronti dei magistrati è crollato da 184 nel 2014 a 90 nel 2023, con soltanto 15 condanne (di cui solo due rimozioni).

Anziché il timore del restringimento della propria indipendenza, l’allarme manifestato con un’ovazione dai giovani magistrati sembra nascondere piuttosto una pretesa di irresponsabilità per le azioni compiute nello svolgimento della propria funzione. Un messaggio che preoccupa molto di più della mozione finale approvata dall’assemblea, soprattutto se si pensa al numero di vittime di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari (30 mila fra il 1991 e il 2021). A questo si aggiunge l’opposizione alla separazione delle carriere, non per ciò che prevede la riforma, bensì per le pericolose “premesse” che questa porrebbe per la futura indipendenza dei pm. I giudici “ragazzini” appaiono più vecchi che mai.

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto “I dannati della gogna” (Liberilibri, 2021) e “La repubblica giudiziaria” (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]

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