Raccoglie scarse adesioni l’iniziativa di Macron per inviare una forza di pace sul fronte e scoraggiare altre aggressioni da Mosca. Al primo Consiglio Affari esteri, tutti i (soliti) vecchi problemi dell’Ue sull’Ucraina. Ma il nuovo Alto rappresentante Ue avverte “Putin non si fermerà finché non sarà fermato”
Bruxelles. “Prima di tutto deve esserci la pace per poter inviare le forze di pace. E la Russia non vuole la pace”. L’Alto rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, ha risposto così ieri alle congetture su una forza militare composta da paesi europei in Ucraina in caso di cessate il fuoco con la Russia. Gli europei stanno sopravvalutando la capacità di Donald Trump di influenzare Vladimir Putin sulla guerra?
L’altra ipotesi è che quella di Kallas sia una scusa per nascondere la mancanza di capacità militari e di volontari. Al suo primo Consiglio Affari esteri come Alto rappresentante, Kallas si è trovata di fronte a tutti i soliti vecchi problemi dell’Ue sull’Ucraina. Kyiv ha bisogno di “più munizioni, difese aeree più forti e più sostegno per la sua industria della difesa”, ha spiegato Kallas. “Più forti sono gli ucraini sul campo di battaglia, più forti sono al tavolo negoziale”. L’Ue ha adottato il quindicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per colpire la flotta di petroliere ombra della Russia e alcune società cinesi che contribuiscono alla guerra di Mosca. Ma gli europei sono sempre in ritardo con gli aiuti militari e non si sono preparati al disimpegno dall’Ucraina promesso dal presidente eletto, Donald Trump, sull’Ucraina. L’Ungheria di Viktor Orbán mantiene il veto sui 6,6 miliardi di euro stanziati dall’Ue attraverso la European Peace Facility per le forniture di armi. Gli europei temono che Trump imporrà a Zelensky una pace che equivale a una capitolazione. L’Ue e i suoi stati membri rischiano di essere esclusi dai negoziati sul futuro della sicurezza europea.
Nasce da qui l’iniziativa del presidente francese, Emmanuel Macron, di proporre una coalizione di volenterosi per inviare una forza militare in Ucraina in caso di cessate il fuoco. La stampa polacca ha evocato la cifra di 40 mila soldati. Secondo altre fonti, ne servirebbero 200 mila per interporsi lungo un fronte di oltre mille chilometri.
La loro presenza dovrebbe servire da deterrente nei confronti di Putin: scoraggiare ulteriori aggressioni da parte della Russia. Ma l’appello lanciato da Macron finora ha trovato pochi volontari, anche tra i più volenterosi. La Germania è in campagna elettorale e non è in grado di prendere decisioni fino alla formazione del prossimo governo. “Di certo non invieremo soldati tedeschi in questa guerra, non con me come cancelliere”, ha detto ieri Olaf Scholz, prima di essere sfiduciato al Bundestag. La Polonia, che ha il più grande esercito dell’Ue, non vuole impegnarsi fino a quando non avrà garanzie che gli Stati Uniti resteranno nella Nato e gli americani continueranno a guidare il gruppo tattico dell’alleanza presente nel loro paese, che serve a proteggere dalla minaccia russa.
L’Ue dovrebbe aiutare l’Ucraina “a raggiungere una migliore posizione per eventuali futuri negoziati, nei quali è l’aggressore che dovrebbe essere incoraggiato e forzato, e non la vittima”, ha detto il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski. Domani il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha convocato i leader di Francia, Germania, Italia e Polonia, nella sua residenza per un mini vertice di emergenza con Zelensky. La presenza di Keir Starmer non è confermata, ma il Regno Unito dovrebbe partecipare, così come il presidente del Consiglio europeo, António Costa, e della Commissione, Ursula von der Leyen. L’Ucraina sarà il primo tema in discussione anche nel vertice dell’Ue di giovedì. “Putin non si fermerà finché non sarà fermato”, ha ribadito ieri Kallas. Tradotto: chi pensa che il presidente russo sia pronto a un accordo, si sbaglia, compreso Trump. Ma, senza gli Stati Uniti, l’Ue non sembra avere la determinazione politica e le capacità militari per fermare Putin.
Le crepe nella politica estera dell’Ue sono emerse anche sulla Georgia. Kallas ieri ha chiesto al ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, di ricorrere all’astensione costruttiva per permettere all’Ue di sanzionare i funzionari del governo di Sogno georgiano responsabile della repressione dei manifestanti pro europei. Fatica inutile. “Con le sanzioni dobbiamo essere 27 a bordo, e non ci siamo”, ha ammesso Kallas. “E’ il mio primo veto ungherese”, ma non sarà l’ultimo. I ministri degli Esteri hanno discusso a lungo anche della Siria. L’Alto rappresentante ha annunciato che un diplomatico europeo – il tedesco Michael Ohnmacht – andrà a Damasco per aprire il dialogo con le nuove autorità, compresa Hayat Tahrir al Sham (Hts), e “fare passare messaggi”. Kallas ha spiegato i princìpi fissati dai ministri degli Esteri dell’Ue: “Integrità territoriale e sovranità, responsabilità davanti alla giustizia, inclusività del governo, tenendo conto dei diritti delle minoranze e delle donne”. Secondo Kallas, “l’estremismo, Russia e Iran non devono avere posto nel futuro della Siria”. Ma alcuni stati membri, come l’Italia e l’Austria, hanno altre priorità sulla Siria che rischiano di compromettere l’efficacia dell’Ue: il ritorno dei rifugiati siriani.