Secondo alcune stime, un aumento dei prezzi infliggerebbe ai consumatori americani un costo pari a circa l’1,8 del Pil. Inoltre gli Stati Uniti rischierebbero di minare le relazioni con alleati fondamentali come il Canda, la Cina e il Messico
Una tariffa del 10 per cento su tutte le importazioni, che salirà al 25 per cento per i prodotti provenienti da Canada e Messico e al 60 per cento per i prodotti cinesi. Nelle intenzioni di Trump, i dazi servono sia a negoziare accordi più vantaggiosi con i partner commerciali, sia a promuovere l’immagine di un’amministrazione forte che antepone gli interessi dei cittadini statunitensi agli equilibri internazionali. Ma le politiche protezionistiche tutelano davvero consumatori e lavoratori? Nelle guerre commerciali, chi sono i vincitori?
I dazi agiscono come una combinazione di tasse sul consumo e sussidi alla produzione. I consumatori sono costretti a pagare prezzi più alti per i loro acquisti, perché i beni tassati costano di più e i beni prodotti negli Stati Uniti sono realizzati utilizzando energia, materie prime e beni intermedi a propria volta potenzialmente tassati, e quindi con un prezzo più elevato. D’altro canto, i produttori nazionali possono alzare i prezzi al di sopra del livello osservato nel resto del mondo, poiché non devono più preoccuparsi della concorrenza internazionale. Tuttavia, l’aumento dei prezzi non implica necessariamente un miglioramento dei profitti, né ricadute positive sui lavoratori, a causa dei costi di produzione più elevati. Nel lungo periodo, la competitività del sistema economico ne risente, perché le risorse nazionali (per esempio, i lavoratori e i capitali finanziari) sono attratte dai settori protetti indipendentemente dalla loro efficienza, mentre i settori più promettenti tendono a impoverirsi, perdendo terreno sul piano nazionale e internazionale.
I danni che deriverebbero da tali dinamiche sono difficili da calcolare. Stime basate sulle conseguenze delle misure protezionistiche del 2017 suggeriscono che, se l’amministrazione Trump attuasse i dazi promessi, l’aumento dei prezzi infliggerebbe ai consumatori un costo pari a circa l’1,8 del Pil statunitense. Probabilmente si tratta di valutazioni ottimistiche, che non considerano gli ulteriori danni causati dalla perdita di competitività e dalle inevitabili rappresaglie da parte dei partner commerciali. Il gettito fiscale generato dai dazi, invece, sarebbe incerto e legato alle reazioni dei produttori, dei consumatori e dei partner commerciali, nonché all’effetto della perdita di competitività sulla crescita, potenzialmente foriero di minori entrate fiscali. Anche nello scenario più ottimistico, le nuove entrate non basterebbero a finanziare gli ammortizzatori sociali necessari per attutire l’impatto dei dazi sulla popolazione.
La regressività delle misure protezionistiche è evidente. I dazi colpirebbero coloro che dedicano una quota più ampia del proprio reddito al consumo di beni e servizi essenziali, cioè le classi meno abbienti, e favorirebbero i più benestanti. Inoltre, i danni subiti dai lavoratori non sarebbero compensati da eventuali benefici in termini di occupazione e salari. L’evidenza empirica sulle tariffe introdotte nel primo mandato di Trump suggerisce che l’aumento dei prezzi dei beni intermedi e la perdita di competitività del sistema produttivo avrebbero effetti negativi sia sull’occupazione sia sui salari, peggiorando sensibilmente la vita dei lavoratori. Le conseguenze sul piano internazionale non sarebbero migliori. Nei paesi colpiti dai dazi, le inevitabili rappresaglie commerciali causerebbero aumenti dei prezzi e riduzioni della competitività, con effetti regressivi. Inoltre, il protezionismo di Trump rischia di minare le relazioni con alleati fondamentali. Il Canada, che fornisce la maggior parte delle importazioni energetiche statunitensi, soffrirebbe sensibilmente, anche perché il commercio di energia richiede infrastrutture enormi, che in questo momento sono progettate specificamente per soddisfare la domanda statunitense e non possono essere riorientate facilmente. La Cina, invece, potrebbe aggirare parzialmente i dazi delocalizzando alcune attività produttive nel Sud Est Asiatico, soprattutto in Vietnam, come già accaduto in passato, con effetti positivi per lo sviluppo della zona.
Tuttavia, l’effetto di misure potenzialmente tanto fallimentari sul consenso per la nuova amministrazione dipenderà soprattutto dalle percezioni del pubblico. Naturalmente, Trump promuoverà i provvedimenti come una protezione dell’economia nazionale contro nemici esterni, a beneficio di lavoratori e imprese. Se la propaganda governativa riuscirà a convincere la classe media, Trump avrà guadagnato consensi a spese dei più deboli, indebolendo gli Stati Uniti a vantaggio di una piccola élite.
Fabio Sabatini è Professore di Economia poolitica Sapienza Università di Roma