La guerra contro i mestoli da cucina e le moltiplicazioni sbagliate

La notizia che gli utensili in plastica nera fossero tossici e contaminati ha gettato nel panico ristoranti e cucine americane, ma un banale errore matematico ha fatto crollare l’intero studio. Storia di una battaglia inutile

Un recente studio scientifico pubblicato su Chemosphere ha scatenato un’ondata di panico che ha attraversato come un fulmine cucine e ristoranti negli Stati Uniti. La notizia sembrava chiara e terribile: i vostri utensili da cucina in plastica nera, quei fidati mestoli e spatole, potrebbero lentamente avvelenarvi. Lo studio sosteneva che questi utensili contenevano ritardanti di fiamma tossici riciclati da rifiuti elettronici – vecchi televisori, per esempio – e che cucinare con essi rilasciasse sostanze chimiche pericolose, in grado di accumularsi nel corpo umano fino a livelli quasi letali. L’allarme si è diffuso rapidamente grazie a titoli sensazionalistici sui media: “Il tuo elegante set di utensili da cucina neri potrebbe avvelenarti lentamente, avverte uno studio. Ecco cosa fare.”, scriveva il LA Times. “La vostra spatola preferita potrebbe uccidervi!”, gridava Salon. “Buttate via la spatola nera!”, ordinava il San Francisco Chronicle. Il messaggio era semplice: per salvare la vostra salute, dichiarate guerra agli utensili neri.

A supportare questa battaglia c’era una premessa apparentemente plausibile. Gli autori dello studio avevano ipotizzato che i ritardanti di fiamma, utilizzati per prevenire incendi in componenti elettronici, venissero riciclati in modo improprio e trovassero nuova vita negli utensili da cucina. A complicare le cose, la plastica nera non può essere riciclata dai sistemi tradizionali perché non riflette la luce infrarossa utilizzata nelle macchine di smistamento. Ciò spinge i produttori a cercare fonti alternative, spesso attingendo a materiali provenienti da rifiuti elettronici. Il risultato, secondo i ricercatori, era una contaminazione chimica che rendeva pericoloso cucinare con queste spatole e mestoli.

Il punto cruciale dello studio era una stima del rischio che lasciava poco spazio alla tranquillità: si affermava che l’uso di utensili contaminati potesse esporre una persona di 60 chilogrammi di peso a 34.700 nanogrammi al giorno di un composto tossico chiamato Bde-209, molto vicino al limite di sicurezza fissato dall’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (Epa) a 42.000 nanogrammi. La minaccia sembrava reale, concreta e imminente. E così è iniziata la “guerra contro i mestoli”.

Tuttavia, l’intera campagna è stata improvvisamente messa in discussione quando Joe Schwarcz, un chimico e divulgatore scientifico presso l’Università McGill, ha deciso di dare un’occhiata più da vicino ai numeri. Schwarcz, noto per il suo occhio critico, si è accorto immediatamente che qualcosa non tornava. Il problema? Un errore matematico che avrebbe fatto impallidire anche un alunno delle elementari. I ricercatori avevano moltiplicato 60 chilogrammi (il peso medio di un adulto) per 7.000 nanogrammi (la dose sicura per chilogrammo di peso corporeo al giorno). Il risultato corretto sarebbe stato 420.000 nanogrammi. Ma nello studio si leggeva 42.000. Un errore di un fattore dieci. E, con esso, l’intero studio crollava come un castello di carte, perché una presunta esposizione giornaliera di 34.700 nanogrammi è ben al di sotto del limite di sicurezza di 420.000. Schwarcz, con il suo tipico senso dell’umorismo, ha osservato che “il rischio cambia un po’ di sapore quando sbagli di un fattore dieci”.

Ma la vicenda non è finita lì. Megan Liu, autrice principale dello studio, ha liquidato l’errore definendolo un semplice “errore di battitura” e ha insistito sul fatto che le raccomandazioni restassero valide: bisognava comunque eliminare gli utensili neri dalle cucine. Una posizione che Schwarcz ha trovato, per usare un eufemismo, discutibile, e con lui ovviamente l’intera comunità scientifica del settore. Schwarcz ha anche fatto notare come l’uso di unità di misura come i nanogrammi, anziché i più comuni microgrammi, potesse essere un modo per drammatizzare i risultati. Dire “decine di migliaia di nanogrammi” suona molto più preoccupante di “pochi microgrammi”.

Nel frattempo, il panico aveva già preso piede. Cucine di tutto il mondo vedevano mestoli e spatole gettati nella spazzatura come se fossero bombe a orologeria chimiche, con le foto ben in evidenza sui social forum. I produttori di utensili in legno e acciaio inossidabile hanno assistito ad un subitaneo boom di vendite nella costa ovest degli Usa, mentre i social media si riempivano di foto di persone intente a sostituire tutto ciò che era nero nei loro cassetti della cucina.

Cosa ci insegna questa vicenda? Già sappiamo che nessuno scienziato è immune agli errori; tuttavia, quando che quando si tratta di valutazioni di rischio, è fondamentale verificare ogni passaggio prima di spaventare il mondo intero – proprio il contrario di quello che accade se qualcuno, pure in buona fede, ha un’agenda ideologica ed è ben contento di trovare il risultato che cercava.

Espandendo il ragionamento ad argomenti più seri, questo episodio rimane un esempio emblematico di come un errore banale, una moltiplicazione sbagliata, possa trasformarsi in una crisi globale, se un articolo scientifico è assunto senza verifiche dai lettori.

Ogni volta, quando si leggono articoli scientifici che suggeriscono risultati di alto impatto, ognuno deve ricorrere a moderazione e matematica, verificando bene, prima di scrivere titoli e gridare al lupo. Dopotutto, non c’era nemmeno bisogno di una calcolatrice per evitare una guerra inutile contro i mestoli.

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