Mentre il leader pentastellato teme di risultare marginale, Elly Schlein spinge per costruire velocemente un’alleanza di opposizione. Ma le divergenze sul nome di Ruffini rendono più difficile arrivare a una soluzione
All’assemblea nazionale del Pd Elly Schlein ha esortato le altre forze di opposizione a non indugiare e a non rinviare i tempi della costruzione dell’alleanza. Ma è per prima la segretaria del Pd a non volerli accorciare più di tanto con il suo rifiuto (invero più che giustificato, vista la situazione) di metter su un tavolo del nuovo centrosinistra come le viene chiesto da più parti e anche da un pezzo del Pd. E’ anche per questa ragione che i cattolici dem si sono dati da fare per preparare la strada a Ernesto Maria Ruffini. Però i supporter dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate sono divisi tra di loro. Infatti, c’è chi, come Dario Franceschini, vorrebbe un Ruffini alla guida del centro ma senza mire sulla futura leadership del nuovo centrosinistra, e chi, come invece Romano Prodi ritiene che Ruffini potrebbe tentare il salto di qualità a candidarsi a federatore della coalizione delle opposizioni. Sarebbe anche un modo, secondo questa scuola di pensiero, per evitare che Giuseppe Conte debba cedere il passo a Elly Schlein. Della serie, tra i due litiganti il terzo gode.
I cattolici ed ex margheritini del Pd su una cosa però sono d’accordo: l’idea della segretaria dem di arrivare a un’intesa con le altre forze politiche dell’opposizione solo alla fine è troppo rischiosa. Il pericolo, secondo loro, è che l’elettorato non trovi attrattivo uno schieramento raccogliticcio messosi insieme all’ultimo e senza un vero programma, dal momento che sulle questioni internazionali, come su altri temi decisivi, bisognerà per forza sorvolare al momento della stipula del contratto delle opposizioni.
Cosa voglia fare sul serio Giuseppe Conte, in realtà, al Pd non lo hanno mica capito. L’ ex premier – ritengono i pd – ormai è conscio di non poter più aspirare alla candidatura a premier. Nel contempo, il leader del Movimento 5 stelle deve arginare le spinte interne di chi, come Chiara Appendino, pur avendo lasciato Grillo, non intende cedere su nulla al Partito democratico. I suoi consigliori, ad iniziare da Goffredo Bettini, in questa fase preferiscono stare in stand by, limitandosi a fare gli ambasciatori tra lui e Schlein. Certo è che a Bettini l’idea che il nuovo centro venga costruito lontano dalle stanze della ditta non sembra piacere troppo. Il timore è che si inneschi un gioco per cui alla fine non solo Conte risulti marginale ma anche l’ala sinistra del Partito democratico.
Intanto nel Pd covano i malumori. Un esempio? L’assemblea nazionale convocata per il 14 dicembre a Roma era palesemente un obbligo statutario da adempiere e niente più. Ma adesso, soprattutto dopo la performance di Giorgia Meloni davanti a un mare di folla, c’è chi rimprovera il povero responsabile dell’organizzazione Igor Taruffi di non aver portato abbastanza gente. E’ vero, nella sala dell’Antonianum, dove si è riunito il parlamentino dem, mancavano all’appello più di 700 esponenti, che avevano preferito il collegamento da remoto (e nemmeno tutti), ma c’è da dire che palesemente non si trattava di una grande occasione.