Che Georgescu si sia avvantaggiato di una rete di troll online è ormai chiaro. Ma l’ipotesi di interferenze russe non è stata ancora provata con certezza. Dubbi su come bilanciare la protezione dalle manipolazioni con diritti fondamentali come la libertà di espressione
La decisione della Corte costituzionale rumena di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali rappresenta un precedente storico, ma è anche un chiaro segnale di allarme per le democrazie moderne. La sentenza fa seguito alla desecretazione di documenti da parte dei servizi di intelligence rumeni (SRI), che hanno rivelato un numero significativo di attacchi cibernetici contro le infrastrutture elettorali del paese e probabilmente orchestrati da attori statali esterni – con sospetti che puntano verso la Russia – e campagne di influenza coordinate e clandestine, finanziate con fondi di dubbia provenienza.
Il punto centrale dell’indagine riguarda le attività volte ad amplificare i contenuti della campagna del candidato indipendente Călin Georgescu. Una rete di diverse migliaia di account TikTok, alcuni creati già nel 2016 e attivati con la campagna elettorale, assieme a una rete coordinata di canali Telegram con un ruolo di “centro di comando” e a network su Facebook e Whatsapp, hanno contribuito a moltiplicare artificialmente la visibilità dei suoi contenuti. Inoltre, TikTok ha ammesso di aver ricevuto oltre 35 mila dollari in pubblicità per la promozione di Georgescu, mentre emergono accuse verso un influencer rumeno che avrebbe speso circa un milione di euro per una campagna sulla piattaforma allo scopo di promuoverlo.
Che Georgescu si sia avvantaggiato di una serie di comportamenti inautentici coordinati, progettati per moltiplicare la visibilità dei contenuti della sua campagna elettorale in maniera artificiale è ormai chiaro. La Corte parla di “molteplici irregolarità e violazioni della legislazione elettorale che hanno distorto la natura libera e corretta del voto espresso dai cittadini e l’uguaglianza di opportunità tra i concorrenti elettorali”. Sebbene di alcune di queste attività non si sia ancora comprovata l’illegalità, nel loro insieme dimostrano che le tattiche online per manipolare gli algoritmi delle piattaforme social, aggirare le politiche di utilizzo di queste piattaforme e anche le regole stabilite dal recente Digital Service Act dell’Ue sono in continua evoluzione, possono essere usate da attori stranieri e di certo contribuiscono a minare la sicurezza e la credibilità dei processi elettorali.
Eppure la decisione della Corte potrebbe rappresentare un precedente delicato. La capacità di attribuire responsabilità per le operazioni di influenza sembra rimanere incompiuta. L’ipotesi di interferenze esterne, su cui in parte si basa la decisione, non è stata comprovata con certezza. L’annullamento delle elezioni apre a nuovi scenari elettorali che potrebbero essere anche loro contestati alimentando voci di una strumentalizzazione politica e la sfiducia dei cittadini verso il sistema.
Questa è esattamente la battaglia che ci troviamo a combattere in un mondo in cui le minacce ibride come la disinformazione e l’influenza straniera diventano sempre più frequenti. Le minacce ibride, sono particolarmente complesse da contrastare proprio perché si svolgono al di sotto delle soglie di rilevamento e attribuzione, rendendo complesso identificarne ramificazioni e responsabili. Nel contesto di processi elettorali, in cui il fattore tempo è determinante, questa ambiguità diviene ancor più pericolosa seminando dubbio e confusione. Quello che emerge anche in questo caso però, è che le operazioni di disinformazione non riguardano tanto contenuti falsi o manipolatori, ma le tecniche di amplificazione e distribuzione dei contenuti. Tattiche come l’uso sistematico di account inautentici, la manipolazione degli algoritmi e la mancata trasparenza sul coinvolgimento di influencer retribuiti creano un falso consenso online, dando l’impressione di un sostegno spontaneo e genuino che in realtà non esiste. Il confine tra una campagna di comunicazione legittima, che segue regole chiare, e un’operazione di manipolazione algoritmica è sottile ma cruciale.
Sebbene sia prematuro parlare di un’influenza russa diretta, i documenti prodotti finora dalle autorità rumene evidenziano come la campagna di Georgescu si inserisca in un contesto più ampio di vulnerabilità democratica. Le operazioni di influenza, la disinformazione ci attaccano lì dove i nostri sistemi sono più vulnerabili. La decisione della Corte romena, per quanto controversa, rappresenta una risposta possibile a una minaccia elusiva, occulta. E’ una scelta che mira a proteggere l’integrità del processo elettorale, sebbene sollevi anche dubbi su come bilanciare questa protezione con diritti fondamentali come la libertà di espressione. Per cominciare, dovremmo domandarci se siamo disposti a tollerare che processi elettorali e decisionali vengano influenzati da attori che manipolano algoritmi e utilizzano fondi opachi per raggiungere i loro scopi politici. La risposta non sta nella censura dei contenuti, ma nell’attrezzare i nostri sistemi al contrasto delle tattiche manipolatorie di cui si serve la disinformazione e nella trasparenza e rispetto delle regole che preservano l’equità democratica.
Mattia Caniglia è Senior intelligence e Policy analyst al Global Disinformation Index