Allenatori tra moduli e caos. Rosa in crisi, tifosi contro, zero schemi e motivazioni: il Diavolo non riconosce più sé stesso
Non più di un anno fa gli allenatori si distinguevano tra giochisti e cortomusisti. Oggi che Massimiliano Allegri è ai box, il crinale che li separa individua i super fedelissimi al proprio modulo (“al proprio calcio”, come dicono di sé) e coloro che fanno di necessità virtù, adeguandosi all’organico oppure trovando soluzioni non previste, intaccando la sequenza di numeretti 4, 3, 2, 1.
Tra i secondi figura il merito di Kosta Runjaić, tra i pochi a provare davvero l’alternanza delle difese in settimana, e capace di combinare gli stessi undici elementi in forme differenti, con solido savoir faire operaio. Tutt’altra cosa, si direbbe, dalle note stonate più evidenti di questa settimana: Paulo Fonseca e l’ultimo Claudio Ranieri.
Se nel secondo caso le assenze e il turnover non hanno spinto il tecnico di Testaccio a migliori consigli (Çelik braccetto?), confermando anche di fronte allo stoico Alessandro Gabrielloni – assist allo stremo – che la Roma oggi vale proprio i punti che ha in classifica, e che rischia di rimanere impelagata nella lotta per la salvezza, più grave è la profonda crisi in casa milanista.
Dall’inizio della stagione Paulo Fonseca, scelto per il dopo-Pioli a seguito di rifiuti e sommosse della piazza, non va d’accordo con buona parte della rosa: segnatamente i famosi “senatori” che “fanno spogliatoio”, concetti da dismettere al più presto. Del resto, la squadra scudettata poche stagioni fa è stata rivoltata nel tempo (dove si trova un altro Olivier Giroud?) e pure attraverso un mercato molto interessante nell’estate 2023. Solo che appunto c’era Stefano Pioli a garantire la continuità tattica e temperamentale che aveva portato al successo: con una stagione in più, era il pensiero generale, i nuovi acquisti avrebbero determinato e sarebbe stato possibile tornare a vincere.
Succede invece che il mister dei miracoli è stato esodato, prima fermo poi in Arabia, in quanto ritenuto a fine ciclo. E nessuno del fondo RedBird che si premurasse di farlo diventare il Carlo Ancelotti o il Fabio Capello della nuova era. A valorizzare gli investimenti è stato chiamato uno che ha vinto solo in Ucraina, da squadra egemone, e senza nemmeno la scorta di idee innovative nel calcio, come fu quando alla panchina rossonera approdò Arrigo Sacchi. Un gestore? Una mossa della disperazione per chi ha il dna europeo e il prestigio di sette Coppe dei Campioni nel forziere?
Ecco allora che Theo Hernández e Rafael Leão, la catena di sinistra tra i principali artefici del campionato vinto e della semifinale di Champions League, decidono di giocare a intermittenza, forse delusi dalla mancata cessione in Premier o Liga. Ma i due top player (in fieri?) sono solo l’aspetto più evidente del malessere generale, nascosto a malapena dal lancio di qualche milanfuturista: la contestazione interna si allarga alle curve, e coinvolge anche il non-dirigente Zlatan Ibrahimovic, talmente schiavo del suo personaggio da pensare di essere un parafulmine.
Il campo certo non aiuta: è un caso se Ruben Loftus-Cheek diventa l’ombra del giocatore imperioso di dodici mesi fa (allo stesso modo, Douglas Luiz nella Juventus)? O se Emerson Royal fa rimpiangere l’ultima bandiera Davide Calabria, Álvaro Morata si snatura nella trequarti, la coppia centrale di difesa cambia vorticosamente per l’incongruenza di due “piedi” mancini…
E Fonseca cosa fa? Depaupera il valore mercantile dei pezzi pregiati, insiste con il monoschema quando vengono meno gli interpreti, ne copre il buco schierando il pur bravo Mattia Liberali senza alcuna gradualità d’esordio. Soluzioni alternative, per quanto scontate come il 4-3-3? Niente.
Zero identità, schemi, motivazioni. Nessuno pare sapere cosa fare in campo, si improvvisa a soggetto. Solo Tijjani Reijnders è all’altezza del momento e della storia. La montagna dell’ego partorisce il topolino del gioco, alla voce José Mourinho: che sia l’aria vicina a Setúbal? Media e tifoseria però plaudono alla risoluzione dell’uomo tutto d’un pezzo (lo avesso fatto Eusebio di Francesco sarebbe stato crocifisso), ma il Genoa non soffre più di tanto, solo punture di spillo.
Ci prova l’altro baby Francesco Camarda, entrato a sostituire lo spaesato Liberali in una sostituzione che viene dritta dal 2029. La Fonsecajugend incute tenerezza, nella serata della festa per i 125 anni e della maglia naturale: quanto stride l’assenza ostentata di Paolo Maldini, papà di Daniel e più grande difensore di sempre, incidentalmente artefice dell’ultimo mercato fruttuoso. Povero Diavolo, ti serve davvero quello che stai vivendo? Se la risposta è no, sai quali regali devi farti per Natale.