Niente musica e motosega, il presidente dell’Argentina ha spiegato il liberismo agli italiani: deficit zero e 800 deregolamentazioni in un anno. Ma sul fronte delle liberalizzazioni, la destra corportativa italiana è più simile al peronismo che al mileismo
Javier Milei era quello che si sentiva più a suo agio: un intervento di circa un’ora per parlare di economia, o meglio di teoria economica. Prima di incontrare la premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, da cui ha ricevuto la cittadinanza italiana per via della sua discendenza da nonni calabresi emigrati in Argentina (il provvedimento, benché derivi dalla legge italiana sullo ius sanguinis, ha suscitato le polemiche dell’opposizione), ha ricevuto nella sede del quotidiano il Tempo il premio Milton Friedman, promosso dall’istituto dedicato all’economista statunitense e dall’Organizzazione Students for Liberty, la principale rete studentesca libertaria con cui Milei collaborava prima di entrare in politica.
Il pubblico che si aspettava dal presidente cose eccentriche è rimasto deluso: non ha sventolato la motosega, non ha cantato canzoni rock (suonava in una cover band dei Rolling Stones) e non ha urlato. Milei ha raccontato la parabola, nella sua visione, della storia del pensiero economico: una sorta di lotta secolare tra bene e male, durante la quale per alcuni periodi una forza prevale sull’altra. Milei la racconta come una lotta epica, quasi come “La Storia infinita”, considerando che oggi sarà l’ospite d’onore di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia che prende il nome dal romanzo di Michael Ende. Parte dai neoclassici, i buoni, come Menger Jevons e Walras che, dopo gli errori di politica monetaria che hanno provocato la Grande Depressione, sono stati sopraffatti da John Maynard Keynes. Il cattivo della storia. Una mente “brillante”, dice Milei, ma che “lavorava per il male”. Ovvero l’intervento dello stato per stimolare la domanda e l’economia, giustificando la rottura dell’equilibrio di bilancio.
Milei ripercorre la disputa intellettuale su risparmio, tasso di interesse, consumo, ruolo dello stato e del mercato, arrivando alla riscossa dei buoni che, prima con Hayek e poi con Milton Friedman, Robert Lucas (ai suoi prediletti cani ha dato il nome di questi economisti) e Phelps hanno ribaltato il paradigma. Fino alla riscossa del pensiero keynesiano, che ha riportato lo stato in prima linea dopo la crisi del 2008. E ora pensa sia arrivato il suo turno per guidare la controffensiva contro lo stato: “Sono un fondamentalista della Scuola austriaca – ha detto – disprezzo lo stato, sono dentro per distruggerlo”.
Il pubblico non sembrava particolarmente attento alla lectio accademica, troppo tecnica e sofisticata. Solo lui, il presidente argentino, era entusiasta di parlare delle cose che più gli piacciono e che gli fanno dimenticare alcuni problemi a casa sua. L’economia va bene, meglio di quanto si potesse immaginare a un anno dall’insediamento vista la situazione disastrosa ereditata, ma questo viaggio in Italia ha prodotto una piccola crisi politica. Il Senato argentino era riunito per votare l’espulsione di un senatore beccato alla frontiera con centinaia di migliaia di dollari nei bagagli. Ma il voto rischia di essere annullato perché la vicepresidente della Repubblica, Victoria Villarruel, ha presieduto la seduta al Senato e non poteva, visto che con il presidente all’estero ne faceva le funzioni. La vice di Milei ha provato a dire di non essere stata informata, ma è stata smentita da documenti della presidenza. I rapporti tra i due sono incrinati da tempo.
In ogni caso, alla fine dell’intervento, Milei ha spiegato di aver applicato la lezione di Milton Friedman (“l’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario”) per far uscire l’Argentina dalla spirale di inflazione. “Ho fatto l’aggiustamento fiscale più grande della storia dell’umanità: 15 punti del pil, 5 punti di deficit fiscale e 10 punti di emissione monetaria”. I risultati, per ora, gli stanno dando ragione: l’inflazione è crollata “dal 50 per cento all’1 per cento”, dice Milei riferendosi all’inflazione all’ingrosso, mentre quella al consumo si è ridotta dal 25,5 per cento di dicembre al 2,4 per cento di novembre.
Sul piano politico Milei si vanta di due cose. La prima è che il 2025 in Argentina sarà un anno elettorale e, a differenza di quello che i governi fanno di solito per aumentare i consensi, “abbiamo preso un impegno: deficit zero ed emissione (monetaria) zero”. L’altra è l’orgoglio per le riforme strutturali e, in particolare, per quello del ministro della Desregulacion Federico Sturzenegger che ogni giorno abolisce almeno una norma che regola i prezzi o imbriglia l’economia: “Abbiamo fatto 800 deregolamentazioni” che, è convinto, garantiranno insieme alla stabilità macroeconomica una crescita del 4,5 per cento del pil per dieci anni.
Non c’è molto da trapiantare in Italia, vista la diversa e disperata situazione economica dell’Argentina, ma qualche similitudine c’è. Anche Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, alle prese con un graduale aggiustamento fiscale, non potranno contare sullo stimolo fiscale per far crescere l’economia: la lezione argentina è che, in questi casi, bisogna agire sull’offerta con liberalizzazioni e deregolamentazioni. Ma su questo fronte la destra italiana è corporativa, più simile al peronismo che al liberismo mileiano.