Gukesh Dommaraju a diciotto anni è diventato il più giovane campione del mondo nella storia degli scacchi
Giovedì scorso è nato un eroe, il giovane indiano Gukesh Dommaraju. All’età di diciotto anni è diventato il più giovane campione del mondo nella storia degli scacchi. Ci è riuscito sconfiggendo il campione in carica, il cinese Ding Liren, in un match tesissimo, al meglio di quattordici partite, solo grazie a un errore davvero grossolano commesso nell’ultima, decisiva partita, in posizione di assoluta parità.
Ma mettiamo le lancette indietro di cinquantadue anni: è il 1972. Lo sconfitto, anche lui detentore del titolo, è il sovietico Boris Spassky; il trionfatore è invece un americano, un mito vivente, Bobby Fischer, colui che amava dire: non credo nella psicologia, credo solo nelle buone mosse. La frase è potente. Riflette un desiderio di sublimazione del gioco a puro scontro di capacità mentali, senza complicazioni e interferenze dell’animo umano. Ora, però, Fischer vinse certamente perché era più forte, forse il più forte di sempre, ma Spassky giocò ben al di sotto delle sue potenzialità, commettendo, come Ding, errori imperdonabili, non spiegabili in base alla brutale teoria di Fischer. C’entravano forse le responsabilità che il paese e il partito facevano gravare sulle spalle del campione russo? Contava l’immensa motivazione dell’americano desiderosissimo (come Gukesh) di fare la storia? Forse l’una e l’altra cosa, forse anche le stravaganze di Fischer, forse tutto: difficile dirlo. Quel match è usato (e abusato) per raccontare gli scacchi attraverso grandi dicotomie: capitalismo vs. comunismo, individualismo vs. collettivismo, mondo libero vs. autoritarismo. Ma anche eroe vs. antieroe, coppia coniata da Reuben Fine, grande maestro e psicologo statunitense. Per l’eroe, gli scacchi sono la vita, egli gode nel distruggere l’ego dell’avversario e nella sfida riversa tutte le sue energie. Viceversa, l’antieroe è colui che vive il gioco come, appunto, un gioco, è a disagio con il suo successo e cerca il divertimento più che l’agonismo.
Per quanto rigida sia la distinzione, gli scacchisti ci sono affezionati, e forse l’hanno rivista inscenata a Singapore. Gukesh vince, non riesce a star fermo, non crede ai suoi occhi, alza mani, braccia, piange, esce dalla sala ormai campione e abbraccia il padre: ha realizzato il suo sogno e quello della sua nazione. Ding è distrutto, sconvolto dal suo strafalcione, ma forse anche sollevato, affrancato dal peso e dalla carica di campione. E, il giorno dopo, può persino sorridere, mentre gioca con le grandi foglie di una pianta acquatica: è libero. Se, dopo una prova simile, non si vuole credere alla psicologia, si faccia pure. Ma non si creda nemmeno alle buone mosse di Fischer: si creda invece a quelle terribili. Che decidono un match, e fanno la storia.
La partita: Ding Liren vs. Gukesh D, Singapore, Campionato del mondo, round 14
Con 55. Tf2, Ding Liren ha commesso, probabilmente, il più grave errore in tutta la storia dei campionati mondiali: riesci a vedere il seguito vincente del Nero?