Il lavoro sulla testa e sullo swing. E il ritorno sul circuito americano. Il sogno Ryder
La stagione dei piccoli passi, la lenta risalita e un gioco sempre più solido e pochi mesi fa di nuovo a competere sul DP Tour per ritrovare quasi subito il sapore della vittoria. Come un’araba fenice, Matteo Manassero è rinato dalle ceneri, da un tempo in cui aveva persino pensato di smettere. Proprio lui, il ragazzo prodigio che a 16 anni nel 2009 aveva vinto il British Amateur e appena dopo a Turnberry la Silver Medal e l’aprile successivo a Augusta il più giovane di sempre a passare il taglio. Matteo era stato una meteora, quattro tornei del tour vinti prima dei vent’anni e già qualcuno a sussurrare che il nostro giovane campione sarebbe diventato un dominatore del gioco. Tutto il contrario, di lì a qualche mese i primi blackout, segnali di un momento buio che è durato dieci anni fino al riscatto, le due vittorie l’anno scorso sul Challenge e quest’anno al ritorno sul Tour al Jonsson Workwear Open in Sudafrica, ciliegina su un anno da incorniciare.
“Oh beh, sì! Una stagione sopra ogni aspettativa e dopo tanto tempo… Il mio obiettivo era solo far bene dopo il Challenge Tour ma per una volta il golf mi ha stupito in senso positivo”.
Lo incontriamo sul lago di Garda, un po’ di riposo dopo una lunga stagione, la prossima lo sarà ancor di più, occorre tenere il ritmo, non distrarsi dalle scelte che lo hanno fatto risalire. Alessandra Averna la psicologa che gli ha dato stabilità e il coach Søren Hansen che lo ha aiutato a semplificare lo swing, a diminuire gli errori e nel caso a renderli meno penalizzanti in gara. “Poi è venuta la vittoria in Sudafrica, tre colpi sopra i secondi, un ultimo giro concluso con quattro birdie, di quelle cose che a volte accadono davvero e che finiscono per darti convinzione”. Una stagione proprio come le sue parole. Tranquillità e tanti risultati, quinto all’Indian Open, settimo al KLM, sesto al British Masters, terzo all’Irish Open e quarto a Wentworth dove avrebbe potuto vincere. È la politica dei piccoli passi di un giocatore che lavora sui dettagli per raggiungere risultati di altissimo livello. “Studiamo le statistiche e so dove migliorare. Sto lavorando per ridurre gli errori nel drive e perfezionare la distanza del putt. Due fattori importanti per la prossima stagione”.
Col 12º posto nel DP Tour quest’anno Matteo ha conquistato la carta del circuito americano, secondo italiano di sempre dopo Francesco Molinari il che significa avere davanti a sé un anno avvincente, su campi nuovi e diversi da quelli degli ultimi 15 anni in Europa. “Dovrò cambiare tipo di gioco? Non credo sia necessario. In America dovrò portare la miglior versione di me stesso. Solo così potrà venir fuori una bella stagione. In ogni caso, imparerò strada facendo”. Il piano dell’anno è ancora astratto, ma quel che è certo è che nel primo semestre Manassero giocherà in America. Una sfilza di tornei e tanta curiosità per alcuni campi importanti sui quali fino ad ora non si è mai esibito. “Con la carta americana dovrei giocare al Farmers Insurance a Torrey Pines, tra i campi che più desidero giocare e spero al AT&T Pebble Beach Pro-Am e ovviamente al Phoenix Open a Scottsdale per provare la famosa buca stadio. Luogo mitico e simbolico del PGA Tour”. Certamente poi ci saranno i major e la curiosità di capire se Matteo, giocando da entrambi i lati dell’Atlantico riuscirà a tenere entrambe le carte, magari a vincere un torneo e pure a qualificarsi per la Ryder Cup quest’anno a ottobre sul percorso di Bethpage, New York. Un argomento che Matteo non vuole affrontare, nell’idea di una stagione che va affrontata a piccoli passi. “Tranquillità, senza la smania di voler stare tra i primi. È la mia politica e credo sia l’unico modo che mi possa consentire di giocare ai migliori livelli”.
Buona scusa per chiedergli chi altri tra i nostri potrebbe darci quest’anno qualche soddisfazione a partire da Guido Migliozzi che quest’anno ha sfiorato la carta americana, “ha un gioco solido, sono certo che per lui questo 2025 sarà un anno di grandi soddisfazioni… e speriamo di giocare presto insieme in America”. Senza scordare Francesco La Porta, una stagione davvero in recupero, “ha fatto risultato quando serviva, ha grande esperienza, potrà raggiungere grandi obiettivi” e soprattutto il giovane bellunese Gregorio De Leo che per Matteo è il talento italiano da seguire. “Ha conquistato la carta del tour facendo tutti gli step, uno alla volta. Ha un bel team di supporto. Può essere lui il campione del futuro”. Ne parla con serenità, guardando il lago, pensando agli allenamenti e senza troppa smania ai tornei che arriveranno. Il tempo del successo può ancora arrivare, Matteo non lo dice ma noi lo sappiamo. Conosciamo da troppo tempo il suo talento cristallino, nessuno meglio di lui potrà riportare il golf italiano ai successi del passato.