La Costituzione, le linee curve della democrazia, la responsabilità di caricarsi sulle spalle un pezzetto di paese. Una lezione di Ernesto Maria Ruffini
Pubblichiamo ampi stralci della Lezione Onorato Castellini pronunciata il 25 novembre scorso al Collegio Carlo Alberto di Torino da Ernesto Maria Ruffini, che nei giorni scorsi si è dimesso dalla direzione dell’Agenzia delle Entrate.
Vi riporto indietro con la memoria alla vita dei vostri nonni, dei miei genitori. Come sapete l’Italia nel secolo scorso ha avuto una lunga parentesi in cui le libertà non erano garantite a tutti. In quel periodo l’Italia scelse, consegnandosi all’ignominia della storia, di combattere una guerra dalla parte sbagliata. E alla fine di quella guerra, un gruppo di giovani donne e uomini scelse di offrire una possibilità di riscatto all’intero paese: su 46 milioni di italiani, un gruppo di 50-200 mila fece la Resistenza, su cui la nostra Repubblica e la nostra Costituzione sono fondate. Mio papà era uno di loro. Ha fatto il partigiano, prigioniero dei nazisti: sono molto fortunato, non soltanto per il lieto fine della sua storia, ma perché me l’ha potuta raccontare.
Dopo la Resistenza si offrì la possibilità ai vostri nonni di scegliere se continuare a vivere in una monarchia. L’ultimo presidente del Consiglio del Regno d’Italia, Alcide De Gasperi, poche settimane prima del 2 giugno del 1946 radunò alcune persone per parlare del referendum. Si rivolse a loro con delle parole che dovrebbero risuonare giornalmente nella vita di un paese: “Fra qualche settimana ci verrà chiesto di esprimere la nostra preferenza e di scegliere tra monarchia e repubblica. La domanda in realtà è mal formulata, mal posta. La vera domanda, sottesa a questa scelta è un’altra: voi italiani siete disposti a smettere di essere sudditi e a diventare cittadini, e quindi ad assumervi la responsabilità della vita del vostro paese, nelle scelte che farete giorno per giorno, col vostro lavoro, nella vostra comunità, financo a scegliere i più alti rappresentanti delle istituzioni? Se siete disposti a fare questa scelta, e ad assumervi pienamente la responsabilità, allora sapete cosa rispondere. Se non siete disposti, è di gran lunga preferibile rimanere sudditi, perché il suddito ha la possibilità di dare la responsabilità di quello che non va al sovrano. Il cittadino no. Il cittadino non può lavarsi le mani rispetto a quello che non va nella propria comunità. Perché il cittadino, nelle scelte che fa ogni giorno, influisce sulla storia e sul futuro del paese. E deve assumersi la responsabilità in ogni scelta che fa. Anche sulle tasse, ma non soltanto su quello.
Poi si è svolto il referendum, siamo qui cittadini di una repubblica. Gli italiani di allora scelsero anche i rappresentanti dell’Assemblea costituente: 556 persone, di ogni estrazione, di ogni provenienza culturale. Era sicuramente l’Assemblea più variegata della nostra storia. Si trovarono sedute le une accanto alle altre persone che avevano fatto la Resistenza, ventuno donne – le prime elette in un’assemblea nazionale –, economisti, giuristi, sette futuri presidenti della Repubblica – tra cui Sandro Pertini. Si trovarono seduti, gli uni accanto agli altri, atei e cattolici. E tra questi, cosa assolutamente inusuale, cinque costituenti per i quali la Chiesa cattolica ha avviato il processo di beatificazione: De Gasperi, La Pira, Giordani, Lazzati, Medi. C’erano linguisti, per l’attenzione e la cura che dedicarono a un testo normativo che doveva essere compreso da tutti. Si trovarono seduti in 18 mesi di lavoro, in cui incredibilmente erano pronti a scrivere una Costituzione dalla carta bianca: le regole di una repubblica democratica. Com’è possibile riuscirci? Molti di loro erano stati in prigione, sui monti, in esilio.
Alcide De Gasperi, all’inizio degli anni Trenta – mentre era confinato in Vaticano, sorvegliato dalla polizia fascista – ricevette un gruppo di amici, che gli chiesero il da farsi. La risposta di De Gasperi fu sorprendentemente profetica: dobbiamo prepararci. E questo ci restituisce il senso di quella responsabilità che lui stesso avrebbe detto qualche anno dopo, invitando a essere cittadini – e quindi responsabili. L’essere pronti, avere gli strumenti per essere la versione migliore di voi – Ruffini si rivolge agli studenti in aula, ndr – vi restituirà la possibilità di essere all’altezza di ciò che la vita vi porrà davanti. Quel gruppo si è fatto trovare pronto. Ora immaginiamo quel gruppo di donne e uomini, consegnati alla storia, come dei ritratti appesi alle pareti. Alcuni hanno meritato dei busti di marmo. Ecco, immaginare quelle persone così come una classe dirigente irripetibile è il modo meno nobile di rendervi onore. Quelle persone, quando hanno vissuto i loro giorni, erano delle persone come noi, con le loro difficoltà, che si alzavano ogni mattina e non avevano un copione già scritto in mano. Non sapevano che sarebbe andata a finire bene, che sarebbero stati protagonisti di una nuova pagina di storia italiana. Però avevano fatto il loro dovere. E quando noi pensiamo alla politica, al prendersi cura della nostra comunità, questa è la cosa più nobile che si possa fare. E quando si parla in modo nobile, quasi romantico, probabilmente ingenuo, di un certo modo di atteggiarsi alla cosa pubblica, la risposta più frequente è: sì, vabbè, ma non ci sono più quelle persone. Questo è un modo non nobile di rendergli onore. E’ un modo di deresponsabilizzare le nostre scelte. E’ un modo di essere sudditi e non cittadini.
Nessuno di noi sa cosa la vita gli consentirà di fare, quali occasioni, quali treni passeranno. E come si potrà servire questo paese: il modo migliore per rendere onore a quella stagione è essere pronti anche noi. Ciascuno con le proprie idee, nel rispetto reciproco. Ma non pensando che siano stagioni irripetibili, perché allora erano donne e uomini esattamente come noi. Tra di loro Piero Calamandrei, giurista toscano a me molto caro – sarà perché sono un avvocato: non sono il direttore dell’Agenzia delle Entrate, svolgo da nove anni questo lavoro ma non mi ci identifico per rispetto dell’amministrazione finanziaria – dice una cosa particolarmente profonda: trasformare i sudditi e i cittadini è un miracolo che solo la scuola e lo studio possono fare. Perché l’istruzione è il complemento necessario al suffragio universale. Non sottovalutate il diritto di voto che avete in mano, non consentite che altri decidano per voi. E’ di gran lunga preferibile votare scheda bianca. Invece in questo paese in questo momento abbiamo la metà della popolazione che non esercita il diritto di voto. E non è un bel modo di rendere onore a quella generazione, a chi ha combattuto per la nostra libertà.
In questo momento chi ha la maggioranza dei voti, di fatto ha il 26 per cento dei consensi. E ha tutto il diritto e l’onere di governare la cosa pubblica a qualsiasi livello. Mi ricollego a Calamandrei: Aldo Moro era anche lui un padre costituente. Negli ultimi giorni dell’Assemblea fece approvare un ordine del giorno in cui si augurava che in futuro il loro lavoro potesse essere oggetto di studio nelle scuole. Badate bene: nessuno di loro pensava di aver fatto un capolavoro – questa è la retorica che abbiamo costruito noi dopo. Anzi: molti di loro dicevano “chissà fra cent’anni come ci giudicheranno, chissà cos’altro potranno scrivere, chissà come potrà essere migliorata questa Costituzione che noi consegniamo alla storia”. Qualche anno dopo, alla fine dei lavori, Aldo Moro – figlio di una maestra elementare e di un ispettore scolastico – ebbe in sorte di divenire ministro della Pubblica istruzione. E fu lui a introdurre l’educazione civica nelle scuole. Vedete che ritorna l’essere pronto a pensare, a immaginare i futuri possibili per poi realizzarli.
Ora, perché ricordiamo quella pagina in modo così commosso? Loro scrivono la Costituzione, scelgono all’Articolo 3 di scrivere il principio di uguaglianza – il riconoscimento del diritto di ciascuno di noi a essere diverso da tutti gli altri, e a non essere per questo discriminato. Se facessimo tutti la stessa scelta, non concorreremmo al progresso di questa società. E qui si riconosce, nel diritto di essere sé stessi, l’irripetibilità di ciascuno di noi: nella storia dell’umanità non c’è mai stato nessun altro Onorato Castellino. E non ci sarà mai. Questo vale per ciascuno di noi: siamo tutti unici e irripetibili. Allora capire in cosa questa nostra irripetibilità può essere messa a fattore comune per creare migliori condizioni, per stare meglio insieme come comunità, è il compito di ciascuno di noi.
E perché i costituenti scelsero di scrivere quest’Articolo? Perché loro – ringraziando Dio e la storia, non è una cosa che capita spesso – si lasciavano alle spalle un periodo talmente drammatico da riscoprire la cosa più sacra dell’esistenza umana: avevano sperimentato la propria fragilità. E quando ci si scopre fragili si ha bisogno degli altri. Non importa chi. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti per costruire qualcosa, rimetterci in piedi e andare avanti. Nessuno di quell’Assemblea aveva una ricetta in tasca da imporre agli altri, perché tutti avevano bisogno del contributo degli altri. Tant’è che nella nostra Costituzione c’è un termine inusuale: persona, anziché cittadino o individuo. E non è figlia solo della dottrina sociale della Chiesa, ma di qualcosa di molto più antico: nella nostra cultura latina, e prima ancora greca, la persona era la maschera che l’attore indossava in un palcoscenico. Cosa vuol dire indossare una maschera? Mettersi nei panni di qualcun altro. Che dovrebbe essere la regola primaria di una convivenza civile. Questo vuol dire impersonare. E questo vuol dire essere uguali, disposti all’ascolto. Per ascoltare, i costituenti riconoscono l’importanza del contributo di tutti. Ovvero il tempo di ascoltare tutto: ed ecco i tempi lenti della democrazia.
In democrazia, le linee curve sono essenziali. La linea retta invece è propria delle autocrazie: problema, soluzione, punto finale. Le curve e la lentezza dei tempi – i dibattiti, i confronti – sono l’essenza della democrazia. E i costituenti hanno infarcito la nostra Costituzione di curve: la divisione dei poteri, i tre gradi di giudizio, il bicameralismo perfetto. Quanti errori e pericoli si sono evitati in questo modo?
L’uguaglianza è il biglietto da visita dell’Italia al consesso internazionale. La più giovane costituente della nostra assemblea, Teresa Mattei, si batté per inserire quel “di fatto”: tutti noi le siamo debitori. Quella donna ha reso l’uguaglianza non soltanto formale. Ed è responsabilità di ciascun cittadino assumersi il peso di far sì che quelle parole siano di fatto il nostro paese. Pezzo per pezzo, una generazione alla volta con le proprie battaglie. Perché la democrazia, così come l’Italia, non è declinabile al passato. Non si tratta di processi finiti: è solo un gerundio.
Come andrà a finire dipende dalla responsabilità di ciascuno di noi, dalla disponibilità a caricarci sulle spalle il nostro pezzetto di paese.