Dove rinascono le bambole, balocchi d’altri tempi a Milano

Arriva in scooter, puntualissima, la signora Elfriede Bühler. Si toglie il casco, ci saluta sorridente, ci prega di attenderla un minuto. E sguscia in un portone. Ci troviamo davanti al suo negozio, a Milano, nei dintorni di Porta Vittoria. “Ricordi & balocchi”, recita l’insegna. Esattamente un minuto dopo, rivediamo il suo volto spuntare sotto la saracinesca che si alza. Alle sue spalle, si rischiara pian piano un corridoio stipato su entrambi i lati di bambole, bamboline, bambolotti, orsi di peluche, cavallucci, scimmiette, pupazzi, pupazzetti, trenini, aeroplanini, macchinine, soldatini e tutto lo scibile ludico di ogni tempo. Giocattoli che si possono sfiorare, accarezzare e stringere in mano o tra le braccia (esclusi dalla collezione, quindi, i videogiochi) e che soprattutto portano ciascuno una storia sulle proprie minuscole spalle: si tratta, difatti, di balocchi da collezione e d’epoca. Entriamo. Giunta alla fine del corridoio, Elfriede si siede dietro la postazione da cui accoglie i clienti: un ampio tavolo di legno. Di fronte ad esso si apre una porta che conduce a un’altra stanza, altrettanto traboccante di oggetti. Pure lì intravediamo dei giocattoli, ma altresì dei piccoli attrezzi da lavoro, pennelli, barattoli di colori: è un laboratorio. Il suo. Perché Elfriede Bühler, oltre a essere commerciante, è chirurga presso uno specialissimo ospedale: quello delle bambole. Le chiediamo la sua storia, e lei ci racconta di come sia arrivata, originaria della Svizzera tedesca, nel nostro Paese per studiarne la lingua. Dell’incontro, alcuni anni dopo, con il futuro marito, Giorgio Crippa, e della passione comune del costruire giocattoli in legno. “Siamo diventati una coppia e abbiamo iniziato a costruire giocattoli didattici”. D’altronde, erano entrambi insegnanti.




La produzione di giocattoli si interrompe alcuni anni dopo (stava diventando troppo complicata e onerosa, ci spiega) e comincia quella di plastici, sempre in legno, per gli architetti di Milano. Prima che anche questa attività si esaurisca, la coppia ha intanto collezionato un certo numero di balocchi d’epoca; con la predilezione (il lettore non si stupirà), per quelli fatti in legno. Dalle casette ai trenini, dalle barche alle macchinine. Eccetera eccetera. La scelta, a metà anni ‘90, di aprire un negozio, con Elfriede che si dedica al restauro di bambole, peluche, ma anche (e il lettore non si stupirà nemmeno adesso) giocattoli in legno.




Torniamo ad oggi. Il signor Crippa è venuto a mancare due anni fa, ed Elfriede da allora porta avanti il negozio da sola. “Abbiamo un po’ di tutto”, è la premessa al giro della wunderkammer. Ed effettivamente è così. La signora Bühler si concentra sui pezzi di cui va più orgogliosa, perché a voler illustrare l’intera popolazione fantastica che si assiepa sul pavimento e lungo le pareti di questa peculiare boutique, se ne andrebbero una giornata, o due. E allora eccola indicarci una bambola della Simon Halbig, rimasta purtroppo senza vestitini; eccola tastare un orecchio a un orsacchiottone della Steiff che sembra gozzovigliare su una panchetta insieme a una comitiva di compagni pelosi; eccola pescare da uno scaffale un vero Teddy bear degli anni ‘50, riconoscibile per la caratteristica gobbetta. Ed eccola attirarci verso la vetrina, dove campeggia uno splendido omaggio di puro artigianato alla Forza del destino di Giuseppe Verdi, che ha aperto quest’anno la stagione della Scala.




Ci spostiamo ora nella stanza accanto. “Questo è il mio laboratorio – ci accoglie Elfriede -, dove io coloro, aggiusto, stucco…Tutto quello che c’è da fare per una bambola o un peluche”. Ci distraiamo un attimo inquadrando le parti di pupi appese qua e là, ed ecco che, quando torniamo a guardare la nostra intervistata, lei tiene fra le dita una piccola forcella con due curiose palline alle estremità. “Questi sono gli occhi!”, azzardiamo. Sono gli occhi, ci conferma Elfriede. E intanto li sta pigiando, dal basso, in un simulacro di capoccetta infantile, con le palline che fanno un lieve tintinnio sbattendo contro le pareti interne. Quello che ci mostra, una volta trovato il giusto incastro, non è il risultato finito (“devo ancora colorare le palpebre”). Ma quella testolina, ora che Elfriede la smuove su e giù delicatamente, ha ripreso a sbattere gli occhietti. Risale agli anni ‘20.



A rivolgersi all’ospedale delle bambole milanese sono grandi e piccini. Vengono in cerca di aiuto persone anziane, che proprio non vogliono separarsi da quei dolcissimi ricordi dell’infanzia. Magari la mamma lasciava che ci giocassero solo nelle occasioni speciali, con quella pupattola o quel bambolotto che ora sembrano giunti al capolinea. I miracoli, tuttavia, non sono appannaggio neppure di una artigiana provetta come Elfriede. Quando l’impresa è impossibile, lei lo fa presente; e allora il proprietario preferisce lasciarla lì, la compagna di una vita, e che ad occuparsi dell’ultimo passo sia Elfriede. Altre volte il miracolo riesce e, nel vedere il risultato, gli occhi si inumidiscono di pianto.



Ma a non poter più stringere e accarezzare le proprie bambole, perfino in quest’epoca sempre più immateriale, non si rassegnano, come dicevamo, neppure i bambini. E pure qui Elfriede ha una storia da raccontare. Immaginate una bimba accompagnata dalla nonna. Si è presentata qualche giorno fa a far riparare la sua bambola che sta perdendo le braccine. Una volta saputo che sarebbe stato necessario “ricoverarla” si è impuntata e non voleva più lasciarla. Ha spuntato di tenerla con sé fino a Natale, di rimandare un po’ il distacco. Ma tornerà: ha acconsentito temporaneamente a separarsene. Elfriede l’ha convinta con una frase: la bambola avrà un letto tutto per sé: qui, nell’ospedale delle bambole. Chissà quante altre storie avrebbe ancora da raccontarci Elfriede: lei, come tanti altri artigiani che ancora resistono a Milano.

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