Per questa prima serata con le nuove regole si preparano controlli eccezionali in una simulazione grottesca di un regime militare
In un locale che frequenta mia figlia entra spesso un gruppo di ragazzi che fanno i carabinieri, e le hanno detto che sabato, oggi, sono stati già allertati per seminare posti di blocco. Quanto sia vero, quanto sia gioco, non lo sappiamo, ma così fosse, il nuovo codice della strada partirebbe con un’azione di guerriglia on the road, o simulazione grottesca di regime militare. D’altronde, tutti i regimi sono figli di uomini ridicoli. La sua lotta interiore è tra la rabbia e lo sconforto, ma anche un po’ di strizza: in questo sabato del villaggio urbano eviterà di muoversi troppo con il drink aperitivo in corpo, curiosa poi di sapere come andrà a finire la prima ‘retata’ della sicurezza stradale. Uno scarno canovaccio lo immagino: la ricerca di strade alternative, di bassa frequenza, le improvvise inversioni intravisto l’assembramento militare, e per chi ci casca, saranno soffiate, sputate, attesa del test, suppliche, l’intransigenza dell’io divisa e le maledizioni sommesse.
Ma i veri nemici saranno i nuovi soggetti in pista, sui quali cade la fresca mannaia: la maggioranza dei leggiadri sui monopattini non sarà bell’e pronta con casco, targa, e assicurazione (tutta money, baby) e me li vedo sgattaiolare tra due caramba, che magari tentano un placcaggio, una rincorsa sul breve, un lancio di paletta su cabeza al vento. Provo una briciola di solidarietà per l’io divisa, chiamato a un compito ingrato e comico, perché poi, questi fuscelli che ti vedi passare, veloci e tremolanti, fanno paura, gh’è gnent da fa: se li sfiori volano via. Sono un po’ il simbolo della provocazione, dell’incoscienza, della spavalderia, e infatti li usano solo sotto una certa. E ci sta, lo scontro generazionale è fisiologico, anche se ci fa incazzare.
Resta che le strade intasate dalla mastodontica inutilità dei SUV non possono essere le stesse di una tavoletta con ruote grosse come piattelli. Il monopattino e il SUV sono le due visioni estreme, e incompatibili, del mondo urbano: uno, sapiens al comando, dotato del minimo indispensabile per muoversi; l’altro, minuscolo nel suo carro lucido comprato a rate, quasi sempre solo al volante, a occupare venti volte il volume del suo corpo.
Poi c’è la bicicletta. Senza motore. Che non toglie spazio e respiro a nessuno. Ed è in strada da due secoli.