Le accuse di Fonseca pesano sul compleanno della squadra rossonera e soprattutto sul futuro: andare avanti in Europa e poi restare fuori dalla prossima edizione della Champions Extra large, sarebbe un dramma (economico e sportivo)
La cosa più bella, forse addirittura l’unica cosa bella, nel 125esimo compleanno del Milan è la maglia scelta per spegnere le candeline. Un tocco d’antico e di romantico. L’hanno già indossata le ragazze nel derby, adesso tocca alla prima squadra contro il Genoa, la notte prima della festa. Come cinque anni fa, quando vennero celebrati i 120 anni, il momento è però di quelli delicati, quasi che i compleanni non portino fortuna alla società rossonera. Pochi giorni dopo la festa del 2019 il Milan che aveva appena cambiato allenatore, perse 5-0 a Bergamo e poi, improvvisamente rinacque. Oggi, più che di una resurrezione, la squadra avrebbe bisogno di continuità e serenità.
È arrivata al punto di non riuscire a godersi neppure la quarta vittoria di fila in Europa, avvenimento che non accadeva dal 2005. Le parole di Fonseca, dopo il successo di mercoledì contro la Stella Rossa, sono state durissime: “La nostra squadra è una montagna russa, oggi bene, domani non lo so. È come lanciare la moneta e vedere cosa esce, è impressionante. Questo è il problema: io so che lavoro ogni giorno per far bene, non so se in squadra tutti possono dire lo stesso”. Se dopo cinque mesi siamo ancora al lancio della moneta per capire come andrà, significa che la situazione non è certo sotto controllo, con l’aggravante di un’infermeria sempre più affollata per la solita varietà di problemi muscolari.
L’educato tecnico portoghese ha preso l’abitudine di esplodere a fine partita. Prima contro gli arbitri e adesso contro i suoi stessi giocatori. Che si senta solo? Mandato allo sbaraglio? Non è da escludere visto che quando ha attaccato gli arbitri dopo la sconfitta di Bergamo è stato pubblicamente ripreso prima dal presidente Scaroni e poi da Ibrahimovic. Giusto rispettare gli arbitri, ma sarebbe giusto anche rispettare il proprio allenatore. L’Ibra giocatore era decisamente di un altro livello. Non vedere nessuno a Milanello il giorno dopo la sfuriata del tecnico, non è stato un bel messaggio. A Bergamo Fonseca si era immolato per difendere la squadra, ma dopo qualche giorno ha capito che lo avevano lasciato solo. Così, dopo aver faticosamente battuto la Stella Rossa, ha cambiato bersaglio attaccando direttamente i giocatori con una frase che non può passare inosservata: “…Come si fa a non dare tutto per questa maglia? Voglio giocatori come Camarda e Abraham, pronti a morire per il Milan”.
Chi non dà tutto per questa maglia? Contro la Stella Rossa è mancata la qualità più che l’impegno, anche se certi atteggiamenti di Theo (l’ammonizione) sono inaccettabili per un giocatore della sua esperienza al quale spesso viene anche data la fascia da capitano. La squadra ha i suoi limiti, anche se vale una classifica migliore di quella che ha in campionato, la società sembra averne ancora di più. Bravissima nel marketing, nell’extra calcio, negli accordi commerciali, manca un filo diretto con lo spogliatoio. Ibra non basta. Per questo sembra di assistere a un compleanno più nero che rosso. Più preoccupante, che incoraggiante nonostante la classifica di Champions abbia aperto nuovi orizzonti. Ma anche qui deve essere chiara una cosa: andare avanti in Europa e poi restare fuori dalla prossima edizione della Champions Extra large, sarebbe un dramma (economico e sportivo).