Harry, ti presento Atreju

Viaggio nella kermesse meloniana al Circo Massimo. Tra porchetta, loden e molto blu

“Ci vediamo ad Atreju” potrebbe diventare il tormentone dei prossimi anni, ma il festival di Fratelli d’Italia, quest’anno nella “splendida cornice” del Circo Massimo, sembra più un Rockefeller Center che la solita festa di partito. Ci diamo appuntamento, boomer novecenteschi, al grande ingresso davanti alla caserma centrale della polizia municipale, tra le rovine romane e il magazzino della segnaletica stradale del comune. Di fronte, il “Ficus al Massimo Xmas edition”, mercatino natalizio. Insomma, una bella sfida per questo avamposto di modernità meloniana. Entrando, superiamo gli sguardi un po’ torvi, frutto forse degli anni della diaspora e del rancore; si viene accolti dalle playlist natalizie e da un colossale albero tutto bianco, stilizzato, decostruito, che ricorda molto la “Torre di Tatlin”, monumento alla Terza Internazionale. Ci siamo persi nei giorni scorsi la fatidica “accensione dell’albero” con Arianna Meloni e “l’animazione del presepe vivente”, e Bertinotti e Bonolis in “Uomini mai allineati”, evento d’apertura, ma pazienza. L’importante è essere qui, partecipare, capire. L’odore della porchetta e tutta questa Mariah Carey ad alto volume mettono addosso una gran voglia di spensierate romantic-comedy natalizie, Harry ti presento Atreju. Potremmo darci appuntamento qui per un “date”, lui e lei (ma anche lui e lui: ricordate, “anche i gay sono benvenuti”, diceva uno slogan dei giorni scorsi, forse in realtà una trappola), pattinando sul ghiaccio, tra le rovine del Circo Massimo e le gigantografie di Giorgia in tailleur e boccoli, molto “La La land”, in questo grande e spensierato Holiday-On-Ice postfascista, un po’ “Christmas World”, un po’ Festa dell’Unità in blu, molto convention aziendale. Il trip di quest’edizione è “la via italiana – risposte concrete al mondo che cambia”, con due cartelli stradali nel logo, forse omaggio al vicino deposito.

All’ingresso tutta un “la via italiana a” con il solito pantheon di miti nazionali.. Colombo, Marconi, don Bosco, Marco Polo, e pure Olivetti (mah), quasi una ideale squadra di governo: Colombo agli Esteri, Marconi alle telecomunicazioni, Don Bosco all’istruzione… Se i padri della patria stanno qua, la maggior parte delle madri sono invece relegate in un padiglione lontano, che non è aperto al momento. E lì, dietro i tendoni di cellophan si intravedono altri cartonati: Santa Caterina, Eleonora Duse, la Callas (mah).

Però, certo, quanta strada si è fatta da quando Atreju era “l’Eurofesta dei giovani di Alleanza Nazionale”, tra le fatiscenti spelonche e gli identitari ruderi di Colle Oppio, e andavano ancora molto spillette Dux, croci celtiche, Fuan, segnalibro con frasi di Jünger (“Noi non vogliamo un mondo pacifico e ben costruito”) e l’Ezra Pound di “Rinnovatevi col sole e con ogni sole rinnovatevi”. Quell’Atreju è un ricordo lontano. I saluti romani non si fanno più all’aperto. Ora ci sono gli elfi, Babbo Natale, si pattina sul ghiaccio. Dalle grotte al Circo Massimo la creatura di Giorgia è cresciuta con lei. Una storia infinita da ripercorre con la lacrimuccia agli occhi e uno dei pochi esempi di rottamazione riuscita in Italia (secondo quella legge di sistema che a destra riesce tutto ciò che a sinistra pare impossibile). Oggi si sgomita per venire a Atreju, ma alla fine degli anni Novanta i testimonial erano pochi. Nella prima edizione, Mogol commemorava a Colle Oppio la scomparsa di Lucio Battisti, “artista nel quale abbiamo sempre ritrovato le nostre emozioni”. Luca Carboni declinava. Rutelli sindaco di Roma si affacciava per cortesia. Nel primo Atreju, “lezioni di sollevamento pesi, giochi fantasy, il cabaret di Enrico Brignano, la presentazione del libro di Roberto Giacobbo, ‘Il segreto di Cheope’”, tornei di calcio, concerti degli Audio2, e poi film epici e combattivi, “Michael Collins”, “Braveheart”, “Il quinto elemento”. Oggi qui si stringono mani importanti. Si celebra anche una mutazione antropologica: i ragazzi di Atreju parlano di famiglia, conservatorismo, identità europea, come dei piccoli Roger Scruton. Hanno l’aria da bravi ragazzi, facce pulite, no tatuaggi, no piercing, sembrano tutti dei fuorisede iscritti alla Luiss o alla Link University, tutti molto new-romantic.



Dunque, “appuntamento ad Atreju”. L’atmosfera da rom-com e il prevedibile orgoglio delle origini sono però macchiati anche dal solito rosicare pallido e assorto della destra. Ecco il muro col “gufoadvisor” per le “gufate della sinistra”, ecco i selfie per chi “non ha visto arrivare Schlein”, ecco che “abbiamo chiesto all’intelligenza artificiale di rappresentarci il mondo secondo la sinistra”, vabbè. Cartellonistica da vignetta di Osho e un registro che vorrebbe essere ironico ma ricorda semmai i calembour degli articoli di Travaglio e i titoli dei libri di Scanzi. Il “vibe” è una rosicata generale, come se si stesse ancora all’opposizione. Con quei “gne gne” alla cattiva sinistra che lei sì, sta all’opposizione per davvero e pare destinata a restarci un bel po’. Un generale “rosicare istituzionalizzato”, che è poi la summa della politica di questi anni. Un complottismo, un registro paranoico, però annegato nel doppiopetto. Essere governo e antigoverno insieme. La campagna elettorale permanente. Ma soprattutto tanto food.



Di giovedì arriviamo che sta per parlare il ministro delle riforme Calderoli, che insieme a Giovanni Donzelli detto Minnie, plenipotenziario dell’organizzazione di Fdi, lo guida in questa Topolinia dei sogni sovranisti, e tra gli stand agroalimentari. Il ministro marcia in testa, tutti gli altri dietro, tipo “Medico della mutua”. Calderoli si ferma davanti a un banchetto con un gran capoccione di maiale in bella mostra, la scritta “Porchetta di Ariccia”. Qui spiega il senso della riforma per l’autonomia differenziata: “Noi dobbiamo assecondare le virtù locali, questa porchetta che è buonissima, per esempio, non si può mica fare a Bolzano!”. Risate, applausi, giusto! Raggiante Donzelli. La gastrodiplomacy è in effetti il vero soft power di questo Atreju. Una sovranità alimentare che salta subito agli occhi: no sushi, no poke, no kebab, no veganesimo, ma “sugo di castrato”, “pasta e fagioli con guanciale croccante”, “pizza con la mortadella”. Cibi sani, sostanziosi, cibi italiani (c’è anche lo stand della Nutella). Un recupero da destra della filiera corta, del km zero, dei grani antichi ma soprattutto identitari, col “caciocavallo impiccato” della transumanza sulla Sila. Il neoruralismo unisce tutto, Atreju, l’Italia dei borghi, Slow-Food, i film di Rohrwacher. Nel codazzo che accompagna Calderoli alla sala “Cristoforo Colombo” ci guardano un po’ sospettosi (saremo giornalisti o coppia queer? Cos’è peggio?).

Intanto troneggiano le insegne dei bagni rigorosamente non fluidi, si stagliano impallando il Palatino, con la scritta “toilette” e sagome giganti di uomo e donna, Dio così li fece, e niente in mezzo. Gender rigid, in un dialogo ideale coi cartelloni dell’ingresso, dove il mondo di sinistra immaginato dall’AI meloniana prevede invece bizzarri scenari “Sei al centro commerciale a comprare una borsa nuova. Cerchi un bagno. In lontananza intravedi quelli inclusivi, uno per ogni identità percepita. Li ha voluti la sinistra per eliminare le disuguaglianze. Manca quello per le donne ma tu non puoi aspettare, è urgente. Scegli il bagno genderfluid da cui è uscito Carmelo, un camionista che si è appena fermato dopo svariate ore di lavoro. Oggi dice di sentirsi donna. Maledici il giorno in cui hai votato a sinistra”). Ma chi scrive i testi del melonismo da convention? L’IA di Musk allenata sul Fatto Quotidiano? Questo mood rosicone-aggressivo contrasta appunto con l’estetica pacificata e americana di tutto l’evento. Nel blu che avvolge tutto: i “wall”, le tensostrutture, il palco, che sembra anche un set televisivo da trasmissione calcistica. Comunque non è più l’azzurro berlusconiano. E’ un blu che si è fuso col nero delle origini dando forma a una nuova nuance che caratterizza tutto: blu scuro le felpe dei tantissimi volontari, ragazzi e ragazze col cappuccio. Blu scuro per i fondali; blu scuro per i completi un po’ Tecnocasa di funzionari e sottobosco politico a gamba stretta e invece per i completi eleganti con risvolto di qualche notabile del sud; blu scuro dei piumini e smanicati; blu scuro del tailleur di Giorgia in gigantografia che accoglie all’ingresso. In blu naturalmente anche le guardie e i tanti maschi che potremmo sbrigativamente descrivere come una replica di Fabio Rampelli in varie angolature e sfumature. Sarà forse il famoso Blu Estoril, quello che lodava anche Andrea Giambruno nel celebre fuorionda di Striscia?

Al blu Estoril si accompagna il verde-inglese. Quello del pratone del Circo Massimo ma anche dei loden. Mai visti così tanti loden, cappotti di alti funzionari guardinghi (ma saranno guardie o simpatizzanti? Tutti hanno l’aria da guardie, qui); dei Barbour di giovani militanti ben pettinati con facce da anni Settanta. Il responsabile dei volontari di Atreju, Andrea Piepoli, sfoggia sul suo profilo Instagram il bicipite guizzante. E poi tra le donne, che sono in minoranza, molto presente il biondo cenere-Meloni, nella acconciatura da Giorgia (“un semi-bob a onde”, li definisce il suo parrucchiere); color “lavish biondo cenere Roma Sud”, che è anche quello di Arianna Meloni e Francesca Fagnani. Sembra insomma più un evento aziendale, una convention, una festa della P.A. o della Polizia che un evento politico. E chissà cosa capiscono i turisti che capitano qui. “La via italiana”, la tradurranno “the italian way” e tra i banchetti del cibo e le musiche di Mariah Carey che vengono sparate dagli altoparlanti non capiranno di essere a una festa di partito. Così se a pubblicizzare entusiasta la pista di pattinaggio in un post su Instagram è Luca Sbardella, vice coordinatore organizzazione di Fdi, in completo (indovina?) blu e berretta, un po’ insicuro e traballante sui pattini, i pattinatori che vediamo noi non sono attivisti ma piuttosto turisti tutti stranieri che sembrano non avere idea di dove si trovano. Un gruppo americano, l’altro asiatico, usufruiscono del servizio “Happy Skating” sulla “seconda pista più grande d’Italia” (non è dato sapere qual è la prima) e si godono il panorama, tra l’odore di porchetta e hot dog (non si è ancora trovato il cibo identitario meloniano, l’equivalente a destra della salamella per la festa dell’Unità).

Tra i cinquemila metriquadri della kermesse e le 40 casette di legno ci sono soprattutto stand alimentari, ma non manca il venditore di presepi di cartapesta, la comunità di recupero di don Gelmini, lo stand della “Dsa mappe concettuali” del “dott. Cipolla”, e poi ecco l’immancabile libreria. Non siamo a “Più Libri più Liberi”, l’altra grande kermesse, questa volta dell’Eur, e del grande cortocircuito a sinistra. Qui, piccoli cortocircuiti a destra.

Ovviamente la fa da padrona la Giubilei Regnani Editore, la casa editrice che pubblica le opere dell’autore-editore Francesco Giubilei, il Timothée Chalamet di Fratelli d’Italia, perennemente in tv. Ma c’è anche Italo Bocchino, “Perché l’Italia è di destra” (Solferino), e “100 personaggi della destra da Almirante a Giorgia Meloni” con una bella fiamma in primo piano, editore Fergen, una specie di Adelphi della Fiamma, che qui espone diversi titoli come “Mussolini giudicato dal mondo”, “Yukio Mishima esteta del patriottismo”, e un inspiegabile “Truffe errori e liti in condominio”, che un po’ riporta tutto a quella dimensione da pubblica amministrazione, da Tar del Lazio, da piccola borghesia statale e proprietaria di immobili che di notte sognano Ilaria Salis che ti espropria – altro incubo evocato dai cartelloni dell’intelligenza artificiale sovranista. Uno strano pubblico per i grandi “disruptor” internazionali che ad Atreju calcano le scene. L’anno scorso ci fu Elon Musk – e chissà come prenderà il cartello sempre dell’IA sul mercato dell’utero in affitto, forse come una pubblicità vera, e prenoterà qualche altro bebé. Oggi dovrebbe arrivare invece l’altro grande rottamatore delle Americhe, il turboliberista Javier Milei, che sta disboscando i monopoli argentini. Corre voce che forse arriverà in elicottero, atterrando tra la pista di ghiaccio, gli elfi e la porchetta, salutando con la motosega il pubblico. Ma qui, tra tassinari e balneari che sono due tra le grandi “constituency” meloniane, chi avrà il coraggio di sfrondare cosa? (poi, certo, se si mettesse a pattinare con Giorgia, basterebbe quello come spettacolo, vabbè).

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