“Il Parini ti ha trasformata in una stronza”. Vita di figlia, lotta di madre

Il memoir è l’unico genere in cui l’esperienza femminile esce nuda. “Un allegria di troppo” è il romanzo-memoir di Francesca Tumiati in cui racconta la sua storia e quella di Luisella Fiumi, scrittrice, moglie, femminista, madre. Quattro donne in una

Non so resistere ai memoir femminili. Li devo leggere tutti, ne sono proprio assetata. Dopo una vita passata dentro alle storie di maschi, con le loro iniziazioni sessuali, le loro botte e le loro lussurie a volte inutilmente ammantate di letterarietà. Tanti libri belli certo, ma una sola metà dell’umanità. Questi autori che sempre potevano permettersi di prendersi così sul serio, senza doppi lavori, senza maternità, senza corrispondenza da sbrigare, liberi da ogni peso della vita del mondo. O pace o guerra, mentre ogni esperienza di donna è contaminata sempre e comunque da una guerra con le aspettative del mondo. Da molti anni ho invertito la proporzione, sul mio elenco di libri letti ci sono in gran parte autrici.

Ma è il memoir l’unico genere in cui l’esperienza femminile esce nuda, con tutte le zie zitelle, le nonne col “girotondo stonato di speriamo che sia femmina”, ma poi…, i nonni che “cosa ce ne facciamo di una femmina” e le altre frasi di cui è fatta la vita vera, almeno la nostra. E’ così Un’allegria di troppo (Feltrinelli), il bel romanzo-memoir di Francesca Tumiati: la storia di Francesca, detta Chicca, gemella di Anna. Nata venti minuti dopo la sorella, ascendente diverso, si sente “secondogenita”, senza la pressione della favorita, ma destinata a un sacco di “zero” (in matematica), una O mancata (doveva essere un maschio, infatti prende il nome dal ramo maschile della famiglia, un Francesco), con la pressione di far ridere per giustificare la sua esistenza. Far ridere la Carmelatriste, la tata napoletana depressa, e la madre, a cui è rivolto e idealmente dedicato il testo.

Una madre femminista, che però si sposa e deve preparare la cena (“Ricordo, poco prima di cena, il rapido ronzio del foglio srotolato dalla Lettera 22 azzurra e il tuo passo che avanzava verso la cucina come verso il patibolo”). La madre è Luisella Fiumi, di cui è stato da poco ripubblicato il testo Come donna, zero (Neri Pozza), del 1974. Scrittrice ma moglie ma femminista ma madre, quattro donne recalcitranti, dice Francesca. Che non è stata la figlia favorita, troppo attratta dall’estetica, dalla forma – ha infatti lavorato a lungo nelle redazioni di moda – la madre sintetizza: “Tutta colpa del Parini, il liceo che ti ha trasformato in una stronza”.

Francesca attratta anche dalla capacità femminile di seduzione, un potenziale infinito di potere che la madre non vedeva: “Ti abbandoni a me? Sei un pazzo. Perché mi scosterò lasciandoti solo a imprecare con te stesso”. L’ironia illumina tutto il racconto, ma ci sono delle pagine in cui la voce raggiunge picchi nel suo misto di tristezza e riso: come quella che racconta di quando la madre le ha chiesto di lasciare un ragazzo alla sorella: “Merito di Erica Jong se ti eri lanciata in una trattativa tra le tue gemelle per un maschio sano di quasi vent’anni?”. Pagine che restituiscono tutto l’affetto per il padre, senza sottrarlo al quadro della famiglia patriarcale. Una Milano stupenda e rara perché poco raccontata: il Berchet, il Parini, via Cosimo del Fante, le case borghesi del primo Novecento.

E poi: togliere pathos agli uomini che ci hanno rovinato la vita, perché la nostra storia non la scrivono loro, la scriviamo noi. Uomini eccitanti, uomini noiosi, uomini crudeli: impallidiscono tutti al cospetto della protagonista, che è più vitale della loro spinta mortifera. E le zie, le nonne? Quando abbiamo smesso di farci rovinare la vita dagli uomini, sembra chiedersi il romanzo? Sono stati gli anni Sessanta, il femminismo l’indipendenza economica il talento l’ironia? Non lo so, ma siamo finalmente libere. Ed è raro sentire questa libertà brillare tanto quanto brilla nel romanzo di Francesca Tumiati.

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