“Intermezzo”, che è il miglior romanzo di Sally Rooney, è la dimostrazione di quanto sia insensata la cura degli estremisti del diritto d’autore
Su Linus, Loredana Lipperini ha messo in guardia da una prassi che sta soppiantando una tradizione letteraria. La tradizione è caratterizzare il personaggio di un romanzo facendogli passare per la testa qualche verso di una canzone o due righe piovute da un’opera altrui; la prassi è richiedere il pagamento di diritti (anche esosi) per quella citazione decorativa, così che gli uffici legali delle case editrici esortino gli autori a limitarsi alla parafrasi o all’ammicco. L’argomentazione di Lipperini è incontestabile: questa smania affonda le radici nella pretesa che, citando nel mio romanzo qualche parola di un cantante o di uno scrittore, io gli stia facendo concorrenza, come se il lettore potesse accontentarsi di un cucchiaino di surrogato al posto dell’opera originale; invece, citandolo, gli sto rendendo omaggio e mi sto riconoscendo debitore. Il diritto, tuttavia, segue di rado le leggi della logica; figurarsi quelle dell’estetica.
Godiamoci perciò finché possiamo Intermezzo, che è il miglior romanzo di Sally Rooney (Einaudi, 423 pp., 22 euro€) anche per uno stratagemma narrativo che rischia di diventare costosissimo. La stessa autrice lo spiega in una noterella conclusiva: ha punteggiato il monologo interiore di uno dei protagonisti con ventiquattro citazioni da opere altrui, da Wittgenstein a Shakespeare, da Larkin a James, da Hardy a Wordsworth; a fine romanzo fornisce i riferimenti bibliografici di tutte, e lode al traduttore Norman Gobetti che le ha trasposte nelle rispettive edizioni italiane di riferimento, ove possibile. Quest’esempio è la dimostrazione di quanto sia insensata la cura degli estremisti del diritto d’autore. Rooney non cita certo queste opere per migliorare la qualità della propria (si tratta di poche righe sparse) né per renderla più familiare al pubblico (sono brani di non facile individuazione). Lo fa perché, nei passi in cui la narratrice esprime i pensieri del personaggio, le due voci risultino sovrapposte e si resti spiazzati, come dinanzi a un abile ventriloquo. Lo fa perché, quando inizia a scrivere il proprio romanzo nuovo, l’autore bravo sa che ci sta mettendo dentro tutti i vecchi libri altrui che ha letto fino a quel momento.