Il Natale si è ridotto a uno sfavillio di luminarie riflesso nelle vetrine

Le luci natalizie di Milano evocano un’antica sensazione di stupore di fronte alla bellezza. Ma l’evoluzione religiosa sembra oggi ridursi a un’emozione senza parole, un riflesso di ciò che fu

We belong to something beautiful, recita il motto che una rinomata ditta ha fatto appendere fra le proprie luminarie natalizie, sospese su un’intera strada del centro di Milano. Le decorazioni sono belle e il messaggio è positivo, cosa che di questi tempi è già sufficiente, quindi non mi va di rivangare la solita storia: cioè che i più anziani di voi conserveranno vaghi ricordi dei tempi in cui il Natale era una festa religiosa e non un grande evento commerciale, un Black Friday con prezzi maggiorati e obbligo d’acquisto. In quel something beautiful leggo piuttosto un’evoluzione antropologica e, soprattutto, teologica. Detto in parole povere, è molto probabile che le religioni siano sorte tutte dallo sgomento di cui cadevano preda gli uomini primitivi, quando si trovavano di fronte a qualcosa di bellissimo e maestoso che li sorprendeva e li atterriva, come la luce del lampo o la luce del sole. Something beautiful, appunto. Da lì è nato il culto nei confronti di potenze superne, che via via si è affinato nelle divinità zoomorfe egizie, nel ruvido monoteismo veterotestamentario, nell’intricato Olimpo geco, nel Sol invictus dei romani, nel Natale dei cristiani che dà nuovo senso (metaforico ed eterno) alla luce che abbaglia l’uomo. Ora però che questa luce è ridotta a sfavillio di luminarie riflesso nelle vetrine addobbate, siamo tornati a something beautiful: guardiamo la luce, ci stupiamo, ci emozioniamo e non siamo in grado di articolare il nostro sentimento del divino meglio di uomini primitivi, benché più versati nell’inglese.

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