I numeri di Mef e Confindustria sull’Ires premiale sono sballati

Mistero sulle cifre della misura per chi investe e assume, fra controsensi ed enigmi. Si sa solo che pagano le banche e le assicurazioni. Ancora

Nelle prossime ore scadono i termini per la presentazione degli emendamenti alla legge di Bilancio, e solo grazie a questo si potrà davvero capire qualcosa di preciso sulla novità che ha dominato nell’ultima settimana, cioè l’inserimento dell’Ires premiale per le imprese. In questi giorni sui media sono volate cifre del tutto incomprensibili. Partiamo dai fatti. Anche se si tratta dell’Ires pagata sul reddito da tutte le imprese, è stata Confindustria a presentare e sostenere la proposta. La Confindustria guidata da Emanuele Orsini ha scelto con il governo un rapporto fuori dai riflettori. Dal ritorno al nucleare al Piano straordinario di edilizia per i neoassunti, dalle 80 proposte di semplificazione a costo zero alle norme da modificare per semplificare l’accesso a Industria 5.0 che non decolla. Dal piano strategico per la Zes unica sud al rifinanziamento del Fondo auto tagliato inopinatamente proprio mentre il settore si inabissa, tutto questo è stato fatto attraverso confronti riservati tra Confindustria, i membri del governo e il presidente del Consiglio.

La stessa cosa è avvenuta ormai due mesi fa con la dettagliata proposta di Ires premiale presentata in due diversi incontri con il ministro Giorgetti e la Ragioneria generale dello stato. La proposta prevedeva un’aliquota Ires non più al 24 per cento ma al 19 per cento in caso di 70 per cento degli utili d’impresa che restino nell’azienda, e di cui almeno il 30 per cento destinati a investimenti in nuove tecnologie o nuovi siti produttivi, contratti di produttività, welfare aziendale e di formazione dei lavoratori. Negli incontri, Confindustria ha girato al governo anche le proprie dettagliate proposte per la copertura, relative ad alcuni miliardi di euro di mancato gettito. E su questo c’è la prima enorme incongruenza delle cifre imperversate sui media.

Si è detto e ripetuto che la proposta del governo sarebbe di un taglio fra i 3 e i 4 punti, non di 5, e valida solo per il 2025, ma che il mancato gettito da coprire sarebbe solo di 400 milioni. Qualche elementare calcoluccio. La stima di entrate Ires nel 2024, secondo l’ultimo aggiornamento del dipartimento delle Finanza del Mef, è di un gettito intorno ai 54,6 miliardi di euro, rispetto ai 51,7 incassati nel 2023. E’ autoevidente che un taglio di quattro punti di aliquota Ires sull’attuale 24 per cento è pari a un sesto, e determinerebbe da solo un minor gettito di 9,1 miliardi, non di 400 milioni. Qualche giornale in realtà i conti li ha fatti, e ha scritto che al Mef risulterebbe per ogni punto di aliquota tagliato un minor gettito di soli 500 milioni, quindi un taglio di 4 punti richiederebbe non 400 milioni ma 2 miliardi di copertura. Nella realtà anche questa stima accresciuta implica però una condizione molto stringente. E cioè che al Mef vogliano sì accontentare le imprese, visti i 21 mesi di caduta della produzione industriale e dopo che alle imprese sono stati sottratti prima il Patent box e poi l’Ace. Ma prevedendo condizioni capestro per l’agevolazione, in modo da ridurne fortissimamente l’accesso. Fin qui, le condizioni per l’aliquota premiale riprese dai media sono quattro: che almeno l’80 per cento degli utili non vada ai soci ma resti in azienda; che almeno il 30 per cento sia destinato a investimenti e a nuove assunzioni; nessun ricorso alla cassa integrazione nel 2024 e nel 2025; la media degli occupati 2022-2024 non deve scendere nel 2025, altrimenti scatta l’obbligo assunzioni aggiuntive. Condizionalità singolari.

Negare l’Ires premiale a chi ricorre alla Cig ordinaria (cui si ricorre nelle crisi congiunturali, non per rischio forte di discontinuità d’impresa in cui si attiva la Cig straordinaria) è un controsenso, mentre è in atto una crisi industriale durissima. Lo è altrettanto anteporre il “più occupati” a “più produttività”. Sembra quasi che per il governo il costo del lavoro sia una variabile indipendente: poco importa che ordini domestici ed esteri delle imprese siano al palo, e che ne scendano i margini, tra sovraccosti energetici e norme europee per le transizioni, gli occupati devono salire a prescindere. In effetti questi criteri sono delle falci, ma non tali da abbattere il mancato gettito a poche centinaia di milioni, se si pensa a un taglio di 4 punti.

Dev’esserci qualcosa di ancora ignoto. Se anche si facesse un calcolo approssimato basandosi sui dati attuali della Cig 2024, si arriva comunque a una stima non inferiore a 1,4 miliardi di euro per punto di Ires tagliato. Solo il testo depositato dal governo è dunque in grado di sciogliere l’enigma. Se fossero pochi spiccioli, sarebbe una presa per i fondelli. E che poi se ne addossi comunque la copertura a più tasse per banche e assicurazioni, che già hanno avuto un aggravio di 3,4 miliardi, dice tutto sul non voler toccare la spesa pubblica per coprire meno tasse.

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