Prima la sinistra italiana accusava Milei per l’inflazione elevata, ora per l’aumento dei poveri. È il solito errore di prospettiva di chi guarda la realtà dallo specchio retrovisore: i dati già affermano il contrario
Javier Milei non piace molto ai media, figurarsi al mondo progressista. Il presidente dell’Argentina è un personaggio eccentrico, fa dichiarazioni incendiarie contro lo stato sociale, attacca frontalmente gli avversari politici e ideologici in quella che lui chiama “battaglia culturale”. Ma nessuno di questi è un buon motivo per ignorare la realtà.
Per molto tempo in Italia, i principali quotidiani nazionali hanno negato che la sua politica fiscale e monetaria disinflattiva stesse funzionando. Si leggevano titoli del tipo: “La scossa di Milei non funziona, l’inflazione è al 236,7 per cento”. Oppure: “Milei taglia le pensioni mentre cresce la povertà: l’inflazione s’impenna e supera il 236 per cento”. Erano commenti falsi, o meglio deformanti, perché i dati mostravano chiaramente che l’inflazione si stava riducendo in maniera impressionante: dal 25,5 per cento di dicembre al 4,2 per cento di agosto.
L’errore, non si sa quanto involontario, era guardare all’inflazione interannuale anziché a quella mensile. Il primo indicatore, infatti, si muove lentamente e anche in ritardo perché misura la variazione dei prezzi dei 12 mesi precedenti e pertanto incorporava i mesi di inflazione a doppia cifra del 2023, quando al governo non c’era Milei ma chi stampava soldi a non finire per vincere le elezioni. L’inflazione mensile, però, mostrava chiaramente una tendenza al ribasso che nel giro di pochi mesi avrebbe fatto crollata anche l’inflazione interannuale (da maggio a novembre è scesa di 100 punti).
Ora nessun quotidiano parla più del fallimento di Milei sull’inflazione, perché è il suo principale successo: a novembre è scesa ai livelli minimi degli ultimi quattro anni. Il focus si è spostato sulla povertà. Avrà pure ridotto l’inflazione, “ma ha mandato il 53 per cento degli argentini sotto la soglia di povertà”, dice Pier Luigi Bersani. E come lui tanti altri a sinistra. Si tratta dello stesso errore di prospettiva fatto nel commentare l’inflazione nei mesi passati. Il dato usato da Bersani viene dall’ultima rilevazione dell’Indec, l’istituto di statistica argentino, secondo cui effettivamente la povertà nel I semestre 2024 è arrivata al 52,9 per cento, in aumento di circa 11 punti rispetto al 41,7 del II semestre 2023. Ma anche in questo caso, come per l’inflazione, in un’economia che ha subito uno choc macroeconomico, per capire cosa sta succedendo bisogna guardare ai dati mensili. Per conoscere i dati sulla povertà del II semeste 2024 si dovrà attendere quattro mesi, ma sono già disponibili le proiezioni mensili elaborate con la stessa metodologia dell’Indec da parte di osservatori indipendenti che mostrano un quadro in rapida evoluzione.
Secondo l’Observatorio de la deuda social dell’Università Cattolica Argentina (Uca), che monitora da decenni le condizioni socioeconomiche degli argentini, la povertà e l’indigenza stanno scendendo e anche piuttosto velocemente. La povertà, secondo l’ultimo rapporto dell’Uca, ha raggiunto il picco nel I trimestre 2024 e da allora è in continua discesa. La quota di poveri è salita dal 45,2 per cento del IV trimestre 2023 al 54,9 per cento del I trimestre 2024, per effetto principalmente della svalutazione del peso che ha prodotto una fiammata d’inflazione e del forte aggiustamento fiscale con cui il governo Milei ha portato il bilancio in pareggio. Da allora in poi, principalmente per il forte calo dell’inflazione, la povertà è scesa al 51 per cento nel II trimestre, è stimata al 46,8 per cento nel III trimestre e, a ottobre, è arrivata al 44,6 per cento. Ovvero al di sotto del livello di fine 2023 (45,2 per cento), prima che Milei si insediasse.
Un trend analogo è quello rilevato dal Nowcast de pobreza, una stima comunemente ritenuta attendibile in Argentina, prodotta dall’economista Martín Gonzalez Rozada dell’Università Torcuato di Tella: il tasso semestrale di povertà (un dato che si muove lentamente) è sceso dal 52,9 per cento di gennaio-giugno al 48,1 per cento di giugno-novembre, mentre nel bimestre ottobre-novembre è al 45,7 per cento. Altri indicatori confermano questo trend.
Da diversi mesi i salari crescono più dell’inflazione e il costo del paniere che misura la soglia di povertà (la canasta básica) cresce da mesi meno dell’inflazione (+1,5 per cento contro +2,4 per cento a novembre). Per giunta l’economia è in ripresa e si stima una crescita del pil del 4-5 per cento nel 2025. Ciò vuol dire che, meccanicamente, nei prossimi mesi la povertà scenderà sotto al livello (comunque altissimo) a cui era arrivata sotto il governo peronista precedente.
Chi afferma che in Argentina la povertà è in crescita sta guardando la realtà dallo specchietto retrovisore, esattamente come faceva fino a qualche mese fa con l’inflazione. Ma procedendo in questa maniera non si arriva lontano, a un certo punto si va a sbattere. Dire da sinistra che in Argentina la povertà aumenta non è solo una falsità, è soprattutto un errore politico. Perché è una bugia dalle gambe corte: presto, inevitabilmente, i dati dimostreranno il contrario.