La mostra Arte Povera presenta 250 opere dei tredici artisti simbolo (e non solo) del movimento nato in Italia negli anni ‘60, caratterizzato dall’uso di materiali semplici e naturali per sfidare le convenzioni dell’arte tradizionale
Parigi, interno giorno. La luce che entra dalle vetrate della Bourse de Commerce, riportata a nuova vita grazie alla Pinault Collection che ha voluto l’architetto Tadao Ando per il restyling, illumina il volto dell’artista Giuseppe Penone, tra i maggiori esponenti della corrente dell’Arte Povera. “La Francia – dice al Foglio – è diversa dall’Italia, basta vedere i musei che ospita e l’attività che svolge per l’arte contemporanea. Negli anni ‘60 e ‘70, la stessa Parigi ha avuto un momento di difficoltà e l’unico artista francese che si vedeva nelle manifestazioni internazionali era Daniel Buren – questo è vero – ma con l’apertura del Centre Pompidou, la città ha ripreso a svolgere un ruolo centrale. Lì si è investito molto sull’arte e le avanguardie del passato sono state utili al Paese. L’Italia, invece, non ha svolto questo lavoro di centralità. Conosco poco la situazione dell’arte oggi: si fa – questo è un dato di fatto – ma non so se sia di qualità. Il suo ruolo di centralità in tal senso Parigi lo ha riacquistato da un po’, ed è più che mai evidente”.
Siamo seduti all’ultimo piano di quella che è la sede dell’imponente collezione raccolta da François Pinault in più di cinquant’anni. La vista sui tetti blu di Parigi è magnifica. Qui si celebra l’arte italiana con la grande mostra Arte Povera, visitabile fino al 20 gennaio del 2025. La curatrice, Carolyn Christov-Bakargiev, storica ex direttrice del Castello di Rivoli, della Fondazione Cerruti e della GAM di Torino, è riuscita a mettere insieme 250 opere dei tredici artisti simbolo (più altri) di quel movimento artistico nato in Italia negli anni ‘60, caratterizzato dall’uso di materiali semplici e naturali per sfidare le convenzioni dell’arte tradizionale. “Ripensare alla realtà e alla ridefinizione delle convenzioni – aggiunge Penone – è sempre un ottimo esercizio. Questa mostra illustra come alcuni artisti che hanno fatto questa azione possano essere esemplari. Si parla di Arte Povera come utilizzo di materiali poveri, ma in realtà la cosa principale era una riconsiderazione delle convenzioni sociali, politiche e religiose che c’erano sull’arte e riformulare un modo espressivo che andasse al di là di certe convenzioni. Una realtà che muta continuamente è lo scopo e l’interesse di un’opera d’arte. Se un artista giovane rifà oggi certe cose, è sciocco, ma ne può riprendere lo spirito che invece è interessante”.
“Più che una contestazione – continua – la nostra era un’intenzione propositiva. Da parte mia, pensai di dare un contributo con la scultura. Presi in mano un pugno di creta e lasciai un’impronta. Poteva avere anche un senso, ma presupponeva un apparato teorico che lo sostenesse. Per rendere autonoma questa idea dalle parole, quindi, pensai che un albero, benché solido, potesse essere fluido nel tempo. Feci così aderire la mia mano sul tronco, la materia che faceva la forma della mano dello scultore e non il contrario. L’oggetto mi toccava, c’era una parità e non un predominio sull’altro e questa parità tra essere umano e albero, la trovavo molto interessante”. Un suo grande albero, Idee di Pietra-1532 kg di luce, una scultura altissima che sfida la gravità con le grandi pietre sui rami, la troverete all’ingresso di questo edificio circolare.
“L’albero – precisa l’artista, a cui la Fondazione Ferrero di Alba dedica la mostra Impronte di luce- ricorda il corpo umano con tutte le sue meraviglie e complessità”. “L’importante era fare quei lavori”, scrive nel libro Bompiani in cui risponde alle 474 domande di Alain Elkann. “Ero cosciente che l’unico ambito culturale che poteva accoglierli era il sistema dell’arte, che rimane ancora oggi il meno codificato e il più aperto alle innovazioni”.