La Spagna è diventata una calamita per i capitali esteri nell’Unione europea. Merito del basso costo dell’energia e il sostegno della produzione industriale, oltre ai benefici sull’occupazione legati al fattore immigrati. Un insegnamento per il governo italiano
Sentirsi dire grazie non succede certo spesso di questi tempi a John Elkann. Tanto meno da capi di governo, o dirigenti politici e sindacali. Certo non se lo sente dire in Italia. E’ stato invece Pedro Sánchez ad averlo ringraziato ieri su X. Gracias a lui e a Robin Zeng l’imprenditore cinese fondatore di Catl, considerato il numero uno delle batterie elettriche. Insieme investiranno 4,1 miliardi di euro per una fabbrica a Saragozza destinata alle batterie per auto di taglia piccola che dovrebbe entrare in produzione alla fine del 2025. Per quelle più grandi c’è la gigafactory italiana a Termoli. E qui è cominciato il ballo dei sospetti. Rinvio, voltafaccia? La Acc, la joint venture tra Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies, che realizzerà l’impianto italiano, ha dichiarato che “confermerà i piani nel corso del primo semestre del prossimo anno”. In questa fase Acc è concentrata sulla razionalizzazione dell’impianto di Billy-Berclau/Douvrin nel nord della Francia. Le dimissioni di Carlos Tavares, d’altra parte, consigliano prudenza sulle strategie future.
Sánchez nel suo messaggio sottolinea l’importanza della collaborazione pubblico-privato che ha reso possibile l’accordo sulle batterie. La Spagna è diventata una calamita per gli investimenti esteri nell’Unione europea: dal 2019 è al sesto posto in assoluto secondo il Financial Times, ma soprattutto ha attratto capitali per nuove iniziative industriali. E’ una delle molle che hanno dato slancio al gran balzo dopo la pandemia. Anche in questo 2024 la Spagna farà da lepre nell’Eurolandia: si prevede che il pil cresca del 2,9 per cento persino oltre gli Stati Uniti, con l’Italia a +0,5, la Francia a +1,1 e la Germania del tutto ferma. Come è possibile con un governo senza maggioranza che sta in piedi con gli spilli? Perché nonostante non sia stata approvata in tempo la legge di Bilancio e il debito resti ancora al 107 per cento del pil, lo spread tra Bonos e Bund decennali è di appena 71 punti base, con una netta discesa dai 100 punti di un anno fa? E’ vero, il deficit già quest’anno s’avvicina al fatidico 3 per cento, mentre l’Italia e la Francia sono in procedura d’infrazione, ma non basta a spiegare il boom iberico. La ricetta spagnola secondo il Fondo monetario internazionale ha alcuni ingredienti fondamentali: innanzitutto il basso costo dell’energia grazie agli investimenti nelle rinnovabili e alla scarsa dipendenza dal gas russo anche perché con i suoi rigassificatori importa da tempo quello americano, in più ha sette reattori attivi in cinque centrali nucleari (così l’energia costa circa la metà rispetto all’Italia).
Un buon contributo al pil viene dalle esportazioni di servizi non solo di beni (l’Italia vende all’estero manufatti, la Spagna anche servizi bancari, consulenze informatiche, ingegneristica). Il turismo corre tanto da provocare reazioni di rigetto. Il governo ha sostenuto sia gli investimenti sia i consumi pubblici e ha riformato il mercato del lavoro; ha aumentato il salario minimo e ridotto i contratti a tempo determinato, senza tuttavia ingessare il mercato tanto che la flessibilità non si è ridotta (è una delle accuse che la sinistra radicale come Podemos rivolge ai socialisti). Sánchez ha tassato banche, società energetiche e grandi patrimoni senza provocare sconquassi, ha usato la leva di bilancio non per aiuti a pioggia o bonus di varia natura ed entità, ma per sostenere la produzione industriale. Insomma, un abile misto di politica dell’offerta e orientamento produttivo della domanda. A questo si aggiunge il fattore immigrati che ha consentito di aumentare l’occupazione complessiva. Certo i nuovi arrivati sono impiegati per lo più in lavori che gli spagnoli non vogliono fare. A differenza della Germania o della Gran Bretagna, i paesi del sud Europa ospitano una immigrazione povera. La Spagna non è il Bengodi, gli investimenti non sono ancora ai livelli pre pandemia e la produttività va aumentata, prescrive l’Fmi. E la mancanza di una chiara maggioranza rischia di avvicinare Madrid a Parigi. Attenti a parlare di modello spagnolo da esportare, tuttavia c’è molto da imparare e forse Giorgia Meloni invece di ascoltare solo la voce di Vox dovrebbe far due chiacchiere con don Pedro.