La forza che nasce da due pile di libri che ricordano colonne malferme

Il Professore era uno psichiatra da ben prima della legge Basaglia. Aveva vissuto a lungo nel reparto femminile del Manicomio di Novara. Per tanti anni accompagnato dai lamenti, dai deliri delle malate: le recluse fanciulle che in quelle stanze erano invecchiate

Il Professore è morto. Aveva novantaquattro anni, e un anno fa sembrava ancora star bene, nonostante quella sua figura magra, eterea, come se del corpo avesse mantenuto, nella vecchiaia, solo l’essenziale. Gli occhi, non li posso dimenticare: chiari, sensibili a ogni luce e ombra, ma singolarmente misericordiosi. Un uomo che non condannava. Mi chiedevo da chi aveva imparato quello sguardo. Dalla madre, forse? Lo sguardo, il sorriso, non si prendono dalla madre, come il latte? Il Professore era uno psichiatra da ben prima della legge Basaglia. Aveva vissuto a lungo nel reparto femminile del Manicomio di Novara. Per tanti anni accompagnato dai lamenti, dai deliri delle malate: le recluse fanciulle che in quelle stanze erano invecchiate. Quanto indicibile dolore aveva ascoltato il Professore?

Fu a Novara che andai a intervistarlo, la prima volta. Sulla scrivania due pile di libri, come colonne malferme: filosofi, psichiatri, teologi, santi. Agostino, Bonhoeffer, Simone Weil. Due analoghe colonne le avevo viste sulla scrivania di Mario Luzi, a Firenze. Quei due, in effetti, un po’ si somigliavano. Non so quante volte sono ritornata, col mio taccuino. Poi, negli ultimi anni, semplicemente talvolta andavo a trovare il Professore – sperando che scovasse il bandolo della mia matassa aggrovigliata. Mi dava ogni volta una nuova prospettiva. Mi rasserenava: tanto più vecchio di me, e senza paura.

Della sua fede, quasi non parlava. La si respirava però: boccate di aria pura in quello studio ombroso, sotto ad alberi secolari. La casa di famiglia: lì aveva giocato, bambino. La morte? Lui fondato sulla promessa di Paolo ai Corinzi: “Oggi vediamo come in uno specchio, oscuramente, ma allora vedremo faccia a faccia”. Così non è per il Professore che io sono triste ora, ma per me. E’ come nelle ultime macerie della guerra a Milano, che guardavo da bambina: io come certi monconi di muro ancora in piedi, quando la casa non c’era più. Nel silenzioso giardino non mi aspetta nessuno.

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