Se i Murdoch veri sono meglio di “Succession”: l’ultimo atto della saga vera nasce dalla serie tv

Il tycoon novantatreenne perde l’arbitrato contro i figli e minaccia appello. Tutto nasce dall’aver visto un episodio dello show Hbo

Mentre il mondo cade a pezzi, scoppia ogni giorno una nuova guerra e i filosofi vengono condannati per violenze domestiche, anche il clan Murdoch non si sente tanto bene. Riepilogo della puntata numero 2678 della soap opera che vede il tycoon australiano dei media novantatreenne (novantatreenne!) in lotta contro i figli.



Il pater familias li aveva trascinati in un oscuro tribunale arbitrale del Nevada per modificare il trust che lui stesso aveva costituito anni fa per regolare la successione; ma niente, ora il trust non gli andava più bene, voleva modificarlo anche se la caratteristica del trust era di non essere modificabile (e, guarda un po’, il giudice ha detto che non è modificabile). Nello specifico, nel mettere i figli uno contro l’altro che dev’essere lo sport che gli consente di arrivare abbastanza in forma al novantatreesimo anno di vita, Murdoch aveva stabilito tanto tempo fa che alla sua morte i quattro eredi più grandi avrebbero avuto pari quote e pari diritti di voto nella cassafortona di famiglia; i figli sono Prudence, come suggerisce il nome la meno interessata e coinvolta negli affari di casa, Elisabeth e James, invece molto interessati e coinvolti, e vagamente liberal, certo non proprio comunisti, semmai “progressisti indipendenti” come direbbe Giuseppe Conte.

La prima figlia appoggia questi due che sono anche al momento alleati tra di loro dopo essersene fatte di tutti i colori, a scapito di Lachlan, il delfino attuale che ha preso le redini dell’impero e potrebbe dunque esser messo in minoranza nel caso della tragica e prematura dipartita del papà. E’ questo il problema. E’ infatti una questione che non riguarda i soldi ma il potere. La morte e non la vita. Stiamo parlando di persone talmente ricche da vivere degli interessi degli interessi degli interessi. Si tratta piuttosto di cosa succederà a Murdoch quando Murdoch sarà morto, dunque quando probabilmente non potrà vedere ciò che accade.



Comunque il patriarca ora è in una fase di buona con Lachlan, il figlio più destrone, attualmente capo di Fox News, la mega Retequattro globale, e presidente di News Corp cioè la divisione che raggruppa i giornali (New York Post, Wall Street Journal, Times di Londra), e perché il delfino destrone comandi tutto un giorno ha chiesto a questo giudice-arbitro di rivedere la successione, ma il giudice arbitro ha detto che il trust non è emendabile. Lo sarebbe stato solo se Murdoch senior avesse dimostrato di essere in buona fede e di agire per il solo beneficio dei suoi eredi. Ma il giudice-arbitro ha deciso che non è così. Non erano in buona fede. Il giudice-arbitro si chiama Edward Gorman Jr.. E’ un ex avvocato, adora le passeggiate all’aria aperta ed è membro dei Lions e suona nella Reno Jazz Orchestra. Vabbè. Tra l’altro la sede scelta, Reno, è famosa per essere il tribunale dove da sempre gli americani vanno a divorziare (“going to Reno” equivale a separarsi, in americano).

Ma qui non c’è nessun divorzio, semmai l’ennesima puntata del drammone dei Murdoch e del patriarca. Che anzi si risposa (risposarsi, dopo il torturare i figli, è la sua attività preferita). Non contento di essersi accasato per l’ennesima volta con la scienziata russa Elena Zhukova, mamma di Dasha, già signora Abramovich, il pater familias va avanti. E già ha fatto sapere che farà appello contro l’arbitrato del Nevada. Non vuole che i figli si scannino dopo la sua morte (cioè, non vuole che l’azienda risenta degli scannamenti. Lui li ha sempre fatti scannare senza particolari problemi). Certo, penserà, sarebbe il colmo che adesso che il mondo va tutto a destra, a partire da Trump, lui che la destra americana, o almeno la destra trumpiana dei nuovi soggettoni postmoderni, del partito repubblicano espressionista l’ha inventata, cavalcata, titillata con la sua Fox News, insomma se dovesse morire ora, si ritroverebbe l’azienda in mano ai figli che invece di cavalcare il gran momento vogliono palinsesti urbani e ripuliti, insomma la sfida di Pier Silvio. Sarebbe proprio un peccato proprio adesso che il business va benissimo (Fox News è il canale via cavo più visto in America e ha fatturato 14 miliardi di dollari quest’anno). E quelli vogliono trasformarlo in La 7!

Però certo non c’è pace in queste dinastie, mediatiche e no; basti pensare ai De Benedetti, piccoli Murdoch col papà che regala Repubblica ai figli e poi la rivorrebbe indietro (troppo tardi, venduta agli Elkann, altra famigliola che nelle successioni non sta passando un bellissimo momento. E i Del Vecchio? Forse proprio i Berlusconi sono gli unici che si salvano). Però in Italia le serie su questi qua non le fa nessuno. Invece, qui è sempre immancabile il paragone con “Succession” che dal clan Murdoch (ma non solo, gli esempi appunto abbondano) ha preso ispirazione. Secondo il New York Times, tra l’altro, quest’ennesima vicenda legale dei Murdoch prende avvio proprio dalla serie Hbo; guardandola, i figli “buoni” capeggiati da Elisabeth hanno deciso che avrebbero voluto evitare i casini relativi alla morte del patriarca, e da lì si sarebbe scatenato tutto il macello dell’arbitrato. Se la vita imita l’arte, la sfiga imita le serie tv.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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