La recensione del libro di Federico Platania edito da Fernandel, 156 pp., 13 euro
Federico Platania (Roma, 1971) è uno scrittore al centro della cui poetica da sempre c’è il lavoro. Tutti i suoi romanzi – o raccolte di racconti – sono come una piccola cosmogonia amara o meno del posto fisso o del precariato, delle relazioni d’ufficio, del workflow (il flusso di lavoro). Merita di essere citato Il primo sangue, sempre per i tipi Fernandel. Finora non ha mancato mai l’appuntamento con la questione speciosa di scrivania e computer. Ma a questo punto, nel silenzio degli ultimi anni (salvo un libro dedicato a Samuel Beckett di cui è cultore esperto ed estensore del sito italiano, samuelbeckett.it, la sua precedente prova finzionale data diversi anni fa) ci saremmo attesi un romanzo che parlasse di smart working o di quiet quitting o piani b e dimissioni – i giornali di questi tempi non parlano d’altro con una perversione da voyeuristi aziendali, statistici o giuslavoristi. Invece, l’autore romano a sorpresa torna agli anni Ottanta, alla storia di un lavapiatti londinese in fuga da se stesso e dal peso del suo cuore e ci proietta in un futuro distante, il 2033, e un luogo che ci costringe all’atlante più esteso se non al mappamondo: le Isole Kerguelen, nelle remote terre antartiche.
“Arcipelago familiare” è un titolo che promette e mantiene connessioni relazionali nel tempo e nello spazio e funziona da metafora della complessità delle articolazioni affettive. La vicenda: Jai Fittipaldi, uno chef italo-indiano, apre il suo primo ristorante a Londra ma sa che suo padre Daniele non parteciperà all’inaugurazione e così lo va a cercare nel luogo lontano che dicevamo. Il romanzo analizza le sottrazioni dei personaggi: Jai e suo padre Daniele, questi e la vicenda iniziale della prima relazione, sua madre Aparajita, persa nelle filosofie new age, ognuno verso l’altro o verso se stesso con tutte le connessioni e gli intrecci possibili. Se l’adagio di John Donne e dei cioccolatini dice che nessun uomo è un’isola, Platania confuta e rincara l’aspetto contrastivo dicendo che, ben che vada, un nucleo di esseri umani apparentemente uniti dal vincolo “famiglia” può costituire un arcipelago a cui arrivare solo calati da un elicottero per trasformare in metafora una scena del libro.
La narrazione corre per brevi capitoli e ci conduce più che a un finale insospettabile – senza spoilerare troppo – a un vero ricominciamento e a un punto morto.
Federico Platania
Arcipelago familiare
Fernandel, 156 pp., 13 euro