Non è più solo una infrastruttura passiva tra pianure e colline, ma è diventata un soggetto pensante in grado di entrare in relazione diretta con chi guida, anche grazie all’intelligenza artificiale. Verso la nuova frontiera anche del trasporto, con finestre sui droni del futuro
Il cervello di quel complesso sistema nervoso che si estende per tremila chilometri e ci fa viaggiare da Scilla al Monte Bianco è in un’area alla periferia est di Roma, tra Casal Bruciato e il Forte Tiburtino, una ex borgata mai diventata quartiere nonostante i diversi e confusi tentativi. E’ qui che Autostrade per l’Italia – che ieri ha inaugurato una mostra al Maxxi dedicata ai cento anni dalla costruzione della prima autostrada italiana, presente il capo dello stato Sergio Mattarella – ha il suo quartier generale e la sua war room ad alta tecnologia. In realtà la chiamano control room, ma non è azzardato dire che vi si giocano multiple battaglie. Il nostro viaggio per le vie dell’innovazione ci ha portato al Kilometro rosso il polo high tech che corre parallelo all’autostrada Milano-Venezia; siamo stati a Genova e abbiamo visto alzarsi dal suo nido il Falco, cioè il drone che controlla il traffico nella più ingarbugliata rete stradale d’Europa; abbiamo fatto un giro sulla robot-car, la Maserati a guida autonoma sviluppata dal Politecnico di Milano e da Movyon, che partecipa anche alla Mille Miglia; e adesso siamo dove molti non si aspettano di trovare innovazione, nella “città eterna”, nel ventre della Grande Meretrice ripudiata da Lutero, nella Roma ladrona di bossiana memoria, nella Grande bellezza, nella capitale europea dello spazio. Proprio così. Roma è stata eletta capitale europea dello spazio.
La decisione è stata presa a Siviglia dove si è riunito il Consiglio europeo dei sindaci della Communauté des Villes Ariane, la rete che riunisce le città europee e le imprese industriali nel settore del trasporto spaziale, le quali tutte contribuiscono a produrre il veicolo di lancio Ariane, orgoglio della Europa spaziale. Che cosa ha fatto pendere la bilancia a favore di Roma? Intanto, il distretto aerospaziale di Colleferro, nel cui territorio vengono costruite numerose componenti del razzo Ariane, poi lo hub scientifico di Università e centri di ricerca internazionali presenti nel territorio, come Frascati, sede dell’Esrin (Istituto europeo di ricerca spaziale) dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Proprio a Frascati, nello scorso luglio, è stato presentato il lancio di Ariane 6, successore di Ariane 5, per decenni il più affidabile e competitivo lanciatore sul mercato.
Ebbene il palazzo di vetro dell’Aspi nella topografia economica romana può essere considerato il vertice di un triangolo che verso oriente raggiunge Tivoli, poi si collega a Colleferro e attraverso Frascati torna in quella che era stata chiamata non senza irridente malizia la Tiburtina Valley e che oggi, in modo più pomposo, è il Tecnopolo romano. Il nucleo principale ha a che fare con l’industria della difesa e dello spazio, con una forte componente elettronica e il catalizzatore è il gruppo Leonardo, la ex Finmeccanica. Qualche nome: Elettronica, appunto, specializzata in cybersecurity e guerra high tech, la francese Thales aerospace che con Leonardo si divide Alenia Space e Telespazio, Airbus, la tedesca Rheinmetall Italia che nel 1999 ha assorbito la Contraves, Mdba consorzio tra Airbus, la britannica Bae e Leonardo, che produce i missili che hanno contribuito a salvare finora l’Ucraina. A Colleferro era ubicata dal secolo scorso un’azienda specializzata in esplosivi, un tempo chiamata Bomprini Parodi Delfino, in acronimo Bpd poi diventata Snia Bpd e passata dalla Montedison alla Fiat. A Frascati c’era il centro creativo della energia nucleare italiana prima che l’infausto referendum del 1987 e un gioco perverso di potere economico e politico non decapitassero due generazioni di scienziati e tecnici. L’Italia era il primo paese europeo a utilizzare l’atomo per fini pacifici, per produrre energia, adesso dobbiamo andare in giro con il cappello in mano a piatire gas dagli sceicchi. Ma questa è un’altra storia.
La war room delle autostrade non ha nulla a che fare con la difesa italiana ed europea, ma ha molto a che fare, al di là delle apparenze, con il salto tecnologico che l’Italia deve compiere, un rimbalzo digitale e una complessa transizione ambientale nella quale si sposano competenze trasversali. C’è lo spazio perché vengono usate le informazioni dei satelliti prodotti e lanciati dall’Italia, ci sono i droni, i sensori e gli algoritmi elaborati dalle università e dai centri di ricerca romani insieme a quelli milanesi, piemontesi, napoletani, e c’è l’intelligenza artificiale che ha sempre più un’importanza fondamentale. Non arriviamo subito alle conclusioni. E cominciamo da capo. O meglio dalla nostra visita nel cuore e nel cervello del sistema autostradale.
Il primo impatto è da suoni e luci. L’ingresso nella Immersive room tuffa i visitatori subito in un orizzonte tecnologico sempre più ravvicinato, è fatto per colpire e un po’ stupire. Qui non c’è più cemento, asfalto e puzza di petrolio, tutto gira su piattaforme digitali: immagini, segnali, informazioni. La sala successiva, dedicata alle emergenze rende l’idea di quanto l’informazione sia anche in questo caso fondamentale. Su uno dei schermi viene tracciata l’emergenza neve che in Italia finora non si presenta spesso. Su un altro c’è l’emergenza acqua che diventa sempre più drammatica. L’immagine è ferma al 18 settembre e mostra il nodo autostradale romagnolo là dove si è scatenata la bufera. La sala è in pausa, fuori cade una pioggerella autunnale molto milanese anche se siamo in piena periferia romana e le previsioni non annunciano nulla di serio, ma gli scambi di informazioni con la protezione civile sono continui. Tanto che diventa possibile sapere con buona precisione le condizioni atmosferiche e stradali proiettandole fino al giorno successivo. Lo stanzone centrale è il cuore pulsante della struttura, la sala monitoraggio del traffico; da qui è possibile intervenire dove c’è bisogno e i tecnici sono in grado anche di comandare i droni Falco, in contatto diretto con i nidi dove riposano. La mente high tech è là dove si arriva fin dentro gli impianti e i cantieri, la sala che possiamo chiamare Argo. Sì, proprio come la città della Grecia, da dove Giasone e suoi argonauti salparono in cerca del vello d’oro.
Che cosa cerca la Argo tecnologica dell’Aspi? Forse bisognerebbe chiedere che cosa trova. E’ una piattaforma che raccoglie e gestisce i dati strutturali di ponti, cavalcavia, viadotti e gallerie, aggiornati in tempo reale. L’installazione di sensori consente di assorbire le informazioni per valutare lo stato di salute delle opere. Droni dotati di videocamere ad altissima risoluzione e laser Lidar che misurano la distanza di un oggetto, effettuano una scansione tridimensionale dell’opera trasformandola in milioni di punti nello spazio associabili ad ogni suo singolo componente. Il Bim (Building information modeling), il modello olistico generato dai dati, sostiene l’ispettore nella navigazione digitale dell’opera e viene affiancato dal gemello digitale tridimensionale o Digital Twin, ottenuto vestendo la nuvola di punti con le fotografie scattate dai droni. L’operatore può compiere ispezioni da remoto grazie alla ricostruzione fornita dal gemello digitale e all’applicazione di algoritmi di intelligenza artificiale che consentono di elaborare la grande quantità di immagini e informazioni identificando così i difetti dell’infrastruttura. L’ultimo nato è Argo gallerie. La piattaforma già in uso per gli oltre 4000 ponti, viadotti e cavalcavia della rete gestita da Aspi, infatti, oggi può mappare e gestire anche i tunnel autostradali. Non con i droni che non possono volare all’interno, ma con un sistema di strumenti digitali, dai sensori ai laser scanner, esteso a 300 tunnel della rete per arrivare a coprire tutte le 600 gallerie gestite.
Se ci fosse stato il gemello digitale forse il ponte Morandi non sarebbe crollato. Ma non si tratta di ricorrere al senno di poi. La storia dimostra che le crisi sono formidabili volani dell’innovazione. E’ successo anche alle autostrade. Il salto di qualità negli impianti è scattato dopo la tragedia del Monte Bianco nel 2004 quando è scoppiato un incendio nella galleria che è costato la vita a 39 persone, racconta l’ingegner Nicola Romano. Il salto di qualità nella sicurezza è avvenuto nel 2018 dopo la caduta del viadotto Polcevera. Un contributo fondamentale l’ha dato Movyon la società tecnologica dell’Aspi, nata nel 2021; l’abbiamo visitata a Milano nel suo quartier generale, l’abbiamo vista all’opera con la guida autonoma o ancora nel “laboratorio Genova” con i droni Falco. “E’ anche per me una continua scoperta delle sue molteplici possibilità”, spiega Roberta Loiacono, direttore marketing e comunicazione di Movyon, che pure viene dal mondo delle telecomunicazioni. Il cambiamento è stato enorme negli ultimi quattro-cinque anni, molto più che nella telefonia mobile la quale, ormai arrivata alla sua maturità, pur con qualche variabile resta la stessa da tempo.
“E’ importante avere una società tecnologica in casa perché è possibile applicare più facilmente le innovazioni e adattarle alle situazioni reali, fare sperimentazione costante delle nostre tecnologie sull’infrastruttura di Autostrade per l’Italia: è una rete di oltre 3.000 km sulla quale concepiamo, testiamo, consolidiamo soluzioni di ultima generazione”, sottolinea Loiacono. La tecnologia non è una commodity che si compra sl mercato spot, come il petrolio. Lo si diceva un tempo, ma era un errore. “Non solo: una tecnologia distaccata dal suo utilizzo resta in un vicolo cieco”, aggiunge l’ingegner Paolo Anfosso.
La guida autonoma è la nuova frontiera, su questo l’Aspi è d’accordo con Elon Musk, ma nel modello italiano la vettura dialoga non solo con altri veicoli in movimento, ma con la strada attraverso un sistema di sensori applicati alla carreggiata. Si chiama progetto Mercury frutto dell’intesa tra Aspi, Movyon e la Volkswagen che monta su alcuni modelli il sistema integrato Car 2x in grado di connettersi con tutti i dispositivi in un raggio di 800 metri. Sull’A1 tra Firenze nord e Firenze sud e sul nodo urbano di Bologna sono entrati in esercizio i primi 52 chilometri di queste autostrade “intelligenti”.
L’autostrada, dunque, non è più solo una infrastruttura passiva, sostanzialmente rigida, un nastro d’asfalto gettato tra pianure e colline, una lunga lama grigio piombo nella pancia delle montagne, ma entra in relazione diretta, grazie all’intelligenza artificiale, sia con chi guida sia con chi dagli schermi dei nove “tronchi”, i gangli fondamentali dell’organismo, controlla e gestisce il traffico. Rendere un oggetto inanimato un soggetto pensante vuol essere la nuova frontiera anche del trasporto. Per questo ha bisogno di una pluralità di apporti.
Il centro romano che abbiamo visitato è nello stesso tempo un osservatorio metereologico e una guida remota per i droni che ispezionano la rete; si collega ai satelliti, a cominciare (ma non solo) da quelli sviluppati poco lontano nel triangolo tecnologico spaziale tra la Tiburtina, Frascati e Colleferro. Di fatto si crea un rapporto continuo con la stessa Roma high tech dalla quale siamo partiti. Vengono utilizzati software fatti o adattati in casa, semiconduttori prodotti in varie parti del mondo, anche Italia ed Europa nonostante il loro ritardo. E ancora le telecomunicazioni, la robotica.
L’innovazione non è un fulmine a ciel sereno, ma una energia intellettuale e materiale diffusa che crea un sistema di conoscenza teorica e applicazione pratica, capace di assorbire ogni aspetto della nostra vita e ogni strumento fatto per i nostri bisogni. Anche la strada senza la quale, del resto, non ci sarebbe stato lo sviluppo della civiltà umana. Ma adesso stiamo andando davvero lontano, fermiamoci prima di cadere nell’abisso della retorica.