Il regime di Damasco è isolato, molti siriani si uniscono alla rivolta. La Russia ai suoi cittadini: andatevene

I ribelli sono riusciti a conquistare Qamishli, Hasaka e Deir Ezzor, e adesso anche la capitale siriana rischia di essere assediata. Il collasso mostra che le forze armate di Assad sono tenute in vita artificialmente da Mosca e Teheran, ora distratte

In Siria il regime è tagliato fuori dalle vie di comunicazione a nord, a est e a sud di Damasco e ora sarà più complicato per Bashar el Assad ricevere gli aiuti militari promessi dai suoi alleati. Si sta materializzando lo scenario peggiore per il dittatore siriano, quello in cui i fronti di guerra si vanno moltiplicando e i ribelli accerchiano la capitale. Ieri, Reuters aveva citato una fonte iraniana che assicurava la volontà di Teheran di inviare armi e missili in Siria per sostenere la difesa di Assad. La via di accesso principale dei convogli provenienti dall’Iran è quella che a est passa dal valico di al Bukamal, che si affaccia sulla frontiera irachena. Da anni, gli americani e gli israeliani tentano di fermare questi traffici con raid occasionali, ma stavolta le Forze democratiche siriane (Sdf), che sono un ombrello di milizie che include anche i curdi, sono riuscite a entrare nella città costringendo le milizie filoiraniane a ritirarsi oltre la frontiera, in Iraq.



Soprattutto, i ribelli sono riusciti a conquistare Qamishli, Hasaka e Deir Ezzor, che è il capoluogo della provincia orientale. Dopo Aleppo, Hama e Homs è una delle città più importanti della Siria perché è lo snodo strategico da cui si diramano due arterie autostradali. Una viaggia verso nord-ovest, passa da Raqqa e raggiunge Aleppo; l’altra va invece verso sud e da Palmira arriva a Damasco. Quel che sorprende è che i combattimenti a Deir Ezzor sono stati limitati e che gli uomini del regime si sono arresi trovando un accordo con Sdf, una conferma ulteriore delle condizioni pessime in cui versano le forze armate di Assad. Non sarà semplice però per i ribelli tenere sotto controllo questo versante desertico, quello della Badiya, che negli anni è diventato quasi una colonia iraniana e dove imperversano cellule dello Stato islamico mai sopite. Ci sarebbe da aspettarsi combattimenti aspri da qui in avanti per consolidare le posizioni conquistate, ma questa folle settimana di guerra ha già dimostrato che la tenuta dell’Asse della resistenza è più fragile di quanto chiunque potesse attendersi.



A sud, nella provincia di Daraa, i ribelli locali hanno preso il controllo di un altro valico di frontiera, quello di Nassib, che è la principale via di accesso in Giordania. Qui le proteste anti regime non si sono mai placate nel corso di tutti questi anni, nemmeno quando gli altri fronti restavano congelati. Ora però l’opposizione di Suwayda, una delle più attive e organizzate, sembra sia stata “contagiata” dai passi avanti fatti dalle milizie nel resto del paese. Diversi check point del regime sono stati smantellati nei dintorni di Daraa e i militari hanno ripiegato verso Damasco. I centri amministrativi e delle Forze armate sono stati assaltati dai miliziani drusi e le effigi di Assad sono state calpestate e date alle fiamme. L’apertura di un altro fronte qui a sud è particolarmente temuta dal regime per la sua posizione strategica. Oltre ad affacciarsi tra Golan – quindi esposta ai raid israeliani che ieri hanno rafforzato le proprie forze al confine – e Giordania, è anche molto vicina alla periferia della capitale. Se il regime dovesse perderne il controllo, significherebbe che Damasco sarebbe assediata.



Ma è a nord, a Homs, che l’avanzata dei ribelli sembra inesorabile. “Ci avete cacciato con gli autobus, stiamo tornando con i carri armati”, dice in un video uno dei ribelli mentre filma il suo ingresso nella terza città della Siria dopo Damasco e Aleppo. Fu il cuore della rivoluzione del 2011 e il teatro di una battaglia violenta nei tre anni successivi, culminata con il ritiro delle forze dell’opposizione. Si trova ad appena due ore di macchina a nord di Damasco e se i ribelli dovessero prenderne il controllo chiuderebbero un’altra via di accesso cruciale tra la capitale e il cuore del potere alawita di Assad, quello di Latakia. Ieri giravano dei video in cui i militari della cittadina costiera si preparavano ad approntare le difese. Poche decine di chilometri più a sud c’è Tartous – la base navale russa sul Mediterraneo dove i lealisti di Assad si sono riversati negli ultimi due giorni per fuggire ai ribelli e i dove i russi hanno portato in salvo buona parte del loro arsenale – e l’aeroporto militare di Hmeimim. Nessuna delle due finora è stata abbandonata dai russi come riportavano invece nei giorni scorsi alcune voci non confermate. E’ probabile che oltre a Damasco, anche sul versante mediterraneo il regime e i russi venderanno cara la pelle prima di abbandonarlo.



Due giorni fa, i ribelli hanno tentato di colpire la base con alcuni droni Shaheen – quelli che i comattenti di Hayat Tahrir al Sham (Hts) hanno imparato a costruirsi da soli guardando come erano fatti quelli di fabbricazione iraniana che il regime gli scagliava contro. Gli Shaheen si sono rivelati una delle armi più efficaci tra quelle usate da Hts. Ieri, circolava un video che mostrava una colonna di fumo levarsi in cielo dal ministero della Difesa di Damasco, colpito secondo alcune testimonianze non confermate da un drone.



L’architetto dell’avanzata, Abu Muhammad al Julani, ha rivendicato ieri in una intervista alla Cnn che “l’obiettivo è Damasco e la cacciata del regime, che dentro di sé ha sempre portato il germe della sconfitta”. Una posizione condivisa ora pienamente anche dalla Turchia, su cui in questi giorni si sono costruite ipotesi e congetture riguardo al suo coinvolgimento o sostegno all’operazione di Julani. Ora Recep Tayyip Erdogan è uscito allo scoperto dicendo pubblicamente che spera nella sconfitta di Assad e si augura che i ribelli arrivino fino all’obiettivo finale: entrare a Damasco. “Abbiamo chiamato Assad, l’abbiamo invitato a decidere insieme il futuro della Siria. Non ci ha dato una risposta positiva”. Anche dai russi arrivano segnali poco incoraggianti per il regime. Una fonte ha detto ieri a Bloomberg che il Cremlino non ha ideato alcun piano per portare in salvo Assad e la sua famiglia, chiarendo che al momento le priorità di Mosca sono altre. Le voci su una fuga del dittatore e della sua famiglia hanno ricominciato a rincorrersIeri l’ambasciata russa in Siria ha invitato tutti i concittadini nel paese ad andarsene. Bashar è appeso a un filo.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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