Macron, “iperpresidente” fino all’altro ieri, ora deve reinventarsi un ruolo “all’italiana”: una via strettissima ma non impossibile. I nomi che sembrano in pista per Matignon sono quelli di François Bayrou e Bernard Cazeneuve
La cerimonia di inaugurazione della cattedrale di Notre Dame di Parigi illustra in modo eclatante la paradossale situazione della Francia del 2024. Da un lato Emmanuel Macron appare come l’encomiabile catalizzatore di uno sforzo nazionale: è riuscito a ricostruire la chiesa madre parigina dopo l’incendio del 2019, un notevole risultato che riaccende i proiettori sulla capitale francese pochi mesi dopo il successo dei Giochi olimpici. Dall’altro Macron è stato l’artefice di un avventato scioglimento dell’Assemblea nazionale dopo le elezioni europee, una mossa che da giugno in poi ha aperto un lunghissimo ciclo di crisi politica. Dopo la sfiducia all’esecutivo Barnier, il presidente Macron ha preso la parola per riassicurare elettori e mercati sulla tenuta delle finanze pubbliche francesi, annunciando una finanziaria entro la fine dell’anno, un dettaglio non banale, con la formazione veloce di un’esecutivo di “interesse generale”, una formula barocca per una quinta repubblica che è sempre stata caratterizzata dalla stabilità di un governo partigiano intorno al presidente in un quadro bipolare.
Colpisce l’ulteriore diniego di responsabilità politica da parte di un Macron che prosegue a dichiararsi incompreso e non riesce a colmare la disconnessione politica con una maggioranza del paese assai revanscista nei suoi confronti. La sfiducia ha archiviato l’esecutivo Barnier, una formula che aveva fatto della relativamente piccola formazione dei “républicains” il perno del governo, poggiando su una minoranza composta da centristi e destra “classica”, ma beneficiando di forme di appoggio esterno da parte del Rassemblement national, o perlomeno di nulla osta su alcuni testi. La confluenza dei voti di censura fra la sinistra e l’estrema destra ha messo fine a questa ipotesi, con Marine Le Pen che ha preferito dare voce all’anima anti-sistema del suo partito, una scelta rischiosa frutto della volontà di rovesciare il tavolo di fronte alla sua probabile condanna all’ineleggibilità nel processo per appropriazione indebita di fondi nel Parlamento europeo. Di fronte alle spinte dei lepenisti e melenchonisti che scommettono sulla strategia del caos per spingere Macron alle dismissioni, il presidente francese ha chiaramente ribadito che intende finire il suo mandato. Questo rimanda i partiti presenti in Parlamento alle proprie responsabilità.
Una volta constatata la chiusura all’estrema destra, si stanno valutando ipotesi di aperture a sinistra. Non va dimenticato che il secondo turno delle politiche di luglio aveva visto un fronte repubblicano crearsi nei collegi al ballottaggio, dove una stragrande maggioranza dell’elettorato di sinistra sceglieva di votare i candidati macronisti per bloccare i lepenisti, mentre una parte importante dell’elettorato di centrodestra votava a sinistra per gli stessi motivi. Le desistenze reciproche avevano quindi definito i termini di una convergenza minima. Gli scenari di apertura fra il centro macronista e la sinistra, o perlomeno la parte riformista della sinistra (socialisti, verdi, comunisti), non sono altro che la traduzione parlamentare di questo patto anti Rn che avevamo di fatto visto nelle urne lo scorso luglio. Inoltre, la sinistra voleva sanzionare il governo Barnier per fargli pagare il metodo politico adoperato da Macron: l’alleanza di sinistra del Nuovo fronte popolare era uscita in testa dalle urne ma Macron non aveva preso seriamente in considerazione l’ipotesi di affidargli il mandato di governo. Dopo questo atto di censura, oggi molti a sinistra sono pronti a passare ad altro per fronteggiare le emergenze. Si lavora quindi a un’ipotesi centrista che osserviamo con i nomi che sembrano in pista per prendere Matignon, quelli di François Bayrou e Bernard Cazeneuve.
Bayrou è il presidente del Modem, una formazione che raccoglie l’eredità storica del centrismo di matrice giscardiana, ed è stato un alleato fondamentale di Emmanuel Macron durante la conquista della presidenza del 2017. Pur essendo vicino a Macron, ha saputo mantenere una vera autonomia politica, con un partito centrista che può vantare una lunga tradizione. Anche se è sempre stato di centrodestra, Bayrou ha ottime capacità di dialogo con i socialisti e rappresenta una figura da questo punto di vista diversa dal gollista Barnier che era più vicino alla destra.
Il nome di Bernard Cazeneuve è tornato anche in pista, con l’ex primo ministro di François Hollande che potrebbe rappresentare un compromesso di area socialista accettabile per i centristi. La questione del perimetro della coalizione non è banale, con i partiti estremisti, Rassemblement national da una parte e France Insoumise dall’altra, in agguato. I partiti francesi sono chiamati a inventare una nuova formula politica.
Il presidente della Repubblica appare fuori da queste logiche, sia per le definizioni costituzionali che per la sua incapacità a riconoscere in modo esplicito la sua disfatta di luglio scorso. Bisogna quindi reinventare un ruolo di presidente all’italiana per un Macron che era fino all’altro ieri un “iperpresidente” con un governo e partiti in grado di assumersi le proprie responsabilità per sbloccare la Francia nei prossimi mesi e traghettarle fino alle prossime elezioni. Una via strettissima ma non impossibile.