Nessuno vuole laurearsi più in letteratura inglese a Canterbury, che quindi cova l’idea di eliminarne direttamente il corso. Il risultato di una delirante caccia ai risultati, a percorsi professionalizzanti sempre più capillari e al professionismo a tutti i costi
Indubbiamente fa scalpore la notizia che l’università di Canterbury intenda eliminare la laurea in letteratura inglese. Considerato che la cittadina del Kent appare addirittura nel titolo di una delle opere fondamentali della storia letteraria d’oltremanica – i Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer – è un po’ come se l’università di Firenze, in linea ipotetica, eliminasse i corsi di letteratura italiana in barba a Dante, Petrarca e Boccaccio. Dietro il portato simbolico dell’evento c’è tuttavia una causa incontestabile, e cioè che all’università di Canterbury quasi nessuno vuole laurearsi in letteratura inglese, pertanto non conviene tenere attivo il corso.
È triste a dirsi ma è inevitabile: non so Canterbury nello specifico, ma a furia di proporsi come percorsi professionalizzanti sempre più capillari, a furia di irretire docenti in esigenze burocratiche sempre più deliranti, a furia di tralasciare i contenuti a vantaggio delle soft skills, a furia di voler misurare univocamente il valore della ricerca in base all’impact factor e ai finanziamenti, le università hanno trasmesso agli alunni l’idea che studiare qualcosa di interessante non costituisca un valore di per sé. Oggi tocca alla letteratura inglese e a Canterbury; domani a tutto il resto, ovunque.