Le correspondances e le notes de journal lasciate sparse qua e là e in seguito raccolte da critici scrupolosi dimostrano il legame che Georges Perec, Romain Gary e Patrick Modiano hanno avuto con Italo Svevo, Luigi Pirandello e Cesare Pavese
Nel suo nuovo saggio intitolato “Portraits étrange(r)s” (Edizioni dell’Orso), Francesca Dainese, ricercatrice in Letteratura francese contemporanea presso l’Ateneo di Padova, tenta di mettere in nuce il rapporto complesso e ambivalente che sono stati capaci di intrattenere scrittori del calibro di Georges Perec, Romain Gary e Patrick Modiano con la parola altrui, nello specifico con quella di tre dei nostri più grandi autori del secolo passato: Italo Svevo, Luigi Pirandello e Cesare Pavese. Specialista di tematiche identitarie e della loro presenza nella letteratura francese e in quella italiana, così come di scritture post-Shoah e del binomio ebraismo-scrittura, Dainese dà a questo lavoro un taglio critico-comparatistico di buona caratura, che procede con esempi e citazioni tratti dalla storia culturale e letteraria dei due paesi in questione.
Da questi brevi ma essenziali ritratti, i “portrait” del titolo, veniamo a conoscenza della fascinazione che avrebbe colto il trittico di scrittori francesi verso le produzioni culturali della nostra penisola, testimoniate dalle correspondances e dalle notes de journal lasciate sparse qua e là e in seguito raccolte da critici scrupolosi – anche se la maggior parte di questi riferimenti è stata dettata dalla volontà da parte dell’autrice di smascherare quei giochi intertestuali e quei riferimenti indiretti che costellano la galassia artistica e intellettuale di questi tre autori. Si tratta infatti, come nota Dainese nell’introduzione, di riconsiderare le filiazioni identitarie attraverso il prisma dell’intertestualità e della crisi del soggetto autoriale, elementi apparsi nel momento storico di caduta delle certezze verificatosi all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale.
In un capitolo centrale del libro, è interessante apprendere come Perec sia stato influenzato da Svevo per il suo racconto L’homme qui dort, e forse per altri; è infatti nel solco della psicoanalisi freudiana che i due agiscono nei loro scritti, mostrandosi al lettore in un rapporto di amore-odio con l’ebraismo, altro elemento preponderante di queste due eclettiche figure. Cripto-ebrei entrambi, ossia capaci di esprimere la propria appartenenza ebraica in modo ironico e ambiguo, sembra che Perec abbia molto apprezzato La Coscienza di Zeno, tanto da scrivere spesso nei suoi diari del portato realista e autobiografico che questo originale romanzo uscito nel 1923 riuscì a inaugurare. E come succede anche per Kafka e Joyce, siamo ancora in una fase in cui l’ebreo deve nascondersi o mascherarsi, poiché è il giudizio dell’antisemita a costituirne l’essenza, privandolo delle sue qualità positive e del suo diritto di esistere. Cambiamento del proprio nome, conversione e assimilazione, sono questi gli elementi che accomunano in fondo Perec e Svevo, e da cui il primo ha tratto linfa vitale per la sua opera, sebbene lo scrittore francese risenta dei traumi della Shoah dai quali Svevo non è stato al contrario colpito. Ma questo è comunque quanto basta per farceli apprezzare ancor di più.