“X”, “Z”, “millennial”. Dividere la società in categorie alimenta preconcetti

Collocare una persona all’interno di una generazione permette di interpretarne il comportamento velocemente, senza dover fare lo sforzo di applicare una personale chiave di lettura, ma non si tiene conto della difficoltà di tracciare “intervalli specifici” per ogni generazione e della variabilità culturale

Non è cosa da poco il fatto che l’essere umano esiste così come lo conosciamo da almeno 100 mila anni. Questo significa che probabilmente se una persona di oggi potesse dialogare con una nata nel 40 mila a.C. non farebbe difficoltà a riconoscere nell’umano che le sta di fronte un proprio simile. Eppure, quante generazioni li separerebbero? Negli ultimi anni si è sentito parlare molto di generazioni: ci sarebbe quella dei boomer, la generazione X e quella dei millennial. La generazione Z e via dicendo (conoscerle tutte non ci rende persone meglio informate), ma un articolo pubblicato sul Journal of Business and Psychology intitolato “Generazioni e differenze generazionali: sfatare i miti nella scienza e nella pratica organizzativa e aprire nuove strade per il futuro” ci spiega perché le sopravvalutiamo.

Quello di dividere la società in gruppi è senz’altro una necessità per dare un senso “al complesso processo multicausale, multidirezionale e multidimensionale dello sviluppo umano”. Peccato però che riuscire a capire cosa sia una generazione, quando inizi e quando finisca e quali siano le caratteristiche salienti che la definiscono sia molto difficile. Tanto da mettere in forte dubbio che le persone possano essere classificate in modo affidabile tramite questo concetto.

Prima di tutto perché interpretare il comportamento delle persone in termini generazionali pare essere più un’euristica che una realistica chiave interpretativa. Le euristiche sono delle strategie cognitive, delle scorciatoie utilizzate dalla mente per semplificare i processi decisionali e l’interpretazione della realtà, cioè questioni solitamente piuttosto complesse. Questo significa che collocare una persona all’interno di una generazione permette di interpretarne il comportamento velocemente, senza dovere fare lo sforzo di conoscerla o di applicare una personale chiave di lettura. Infatti, utilizzando questa lente ciò che emerge, probabilmente da millenni, è che i più anziani appaiono come conservatori e prosciugatori di risorse mentre i più giovani come pigri, egocentrici e disfacitori delle convenzioni sociali.

Eppure, il concetto di generazione pare ovvio e l’idea che lo sorregge è che essere nati durante uno stesso lasso temporale creerebbe una sorta di coscienza condivisa, alimentata dall’esposizione a fatti politici o culturali simili. Peccato però che sia molto più facile individuare questi eventi a posteriori, e sebbene ne esistano di rilevanti e pervasivi come le guerre o le carestie ne esistono tantissimi altri che finiscono nel dimenticatoio della storia. Inoltre, “con così tanti altri fattori dimostrabili correlati all’età e specifici della persona (identità sociali, personalità, status socioeconomico) che hanno influenza sugli atteggiamenti, sui valori e sui comportamenti degli individui, nonché sul modo in cui questi interagiscono con le influenze contestuali e ambientali, la prospettiva che le generazioni prevalgano su tutte queste spiegazioni è implausibile”.

In ultimo, parlare di generazioni appare come un modo per cristallizzare l’esperienza di vita di una persona perché dà per scontato che gli eventi hanno un’influenza solo in una fascia di età giovane, come se il contesto storico e sociopolitico abbia la possibilità di influenzare lo sviluppo solo fino a una certa età e non oltre. Ricapitolando, dividere la popolazione in generazioni per indagarne credenze, funzionamenti o abitudini non sembra avere molto senso dato che non si è ben capito quando una generazione dovrebbe iniziare e finire; infatti, non esistono “intervalli specifici di nascita che definiscono ogni raggruppamento generazionale”. Un altro elemento poco chiaro riguarda la variabilità interculturale. Gli eventi significativi avvenuti nel mondo venti anni fa (ad esempio l’attacco alle Torri gemelle) in che modo hanno influenzato le persone nei diversi paesi? E quali sono gli avvenimenti che possono essere considerati emblematici per tutti coloro che ne sono venuti a conoscenza o che li hanno vissuti tanto da renderli fatti rappresentativi di una specifica generazione?

Per non parlare della mestizia di cui si è testimoni quando si sente qualcuno affermare con rassegnata consapevolezza di essere un boomer, parola che oggi equivale a tutti gli effetti a un insulto. Questo perché chiaramente siamo fatti anche per adeguarci agli stereotipi esistenti. Perpetrandoli. E chissà che l’idea di far parte di una generazione specifica non alimenti divisione sociale. Probabilmente al contempo crea un piccolo senso di appartenenza, di identità. Ma direi che a questo punto possiamo farne a meno.

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