La bandiera europea che si fondeva con quella georgiana su tutti i cartelloni elettorali del partito di governo era una bugia: ora che è stata svelata, i georgiani scendono in piazza, moltissimi, e non si fanno cacciare via. La polizia, “gli uomini in nero” e la domanda alla polizia della donna con il marsupio rosso: davvero avete paura di me?
Una donna cammina verso il blocco della polizia che riempie scura la strada con i caschi, gli scudi, i manganelli. Ha un marsupio rosso a tracolla, dice che la repressione delle proteste è contro la Georgia stessa, “che cosa volete, avete paura di me?”, grida, e procede, tira un calcio a uno scudo e viene inghiottita dal muro di poliziotti. Un’altra ragazza con la bandiera della Georgia in mano si mette sotto i cannoni d’acqua che la polizia usa per sfollare i manifestanti – senza riuscirci – e fradicia usa la bandiera come suo scudo. Poi si strizza i capelli, alza le mani e il dito medio, e ride. Un ragazzo fa lo stesso, ha l’impermeabile, la maschera antigas, si protegge dall’acqua con la bandiera europea, e balla.
Da quando giovedì scorso il governo guidato da Sogno georgiano ha annunciato la sospensione del processo di integrazione nell’Unione europea almeno fino al 2028, violando l’articolo 78 della Costituzione che garantisce il processo di adesione, i georgiani hanno ricominciato a manifestare, ancor più che a primavera: i cortei non sono soltanto a Tbilisi, anche in altre città si marcia, come a Batumi, come Kutaisi, a tre ore dalla capitale, dove gli studenti dell’università fondata nel 2020 dal padrone della Georgia, l’oligarca Bidzina Ivanishvili, gridano contro il governo. Ogni sera giovani e anziani di tutte le classi sociali arrivano con le bandiere – georgiana, europea e ucraina – e protestano contro Sogno georgiano, che ha fatto una campagna elettorale sventolando l’Europa e la pace e facendosene garante, salvo poi mostrare, a voto e brogli conclusi, il suo volto antioccidentale e filorusso. La bandiera europea che si fondeva con quella georgiana su tutti i cartelloni elettorali del partito di governo era una bugia: ora che è stata svelata, i georgiani scendono in piazza, moltissimi, e non si fanno cacciare via. La polizia si presenta ogni sera sempre prima e sempre più aggressiva, non ci sono mai stati tanti feriti – le foto dei volti insanguinati e tumefatti, dei nasi rotti, delle ferite sui vestiti strappati sono ovunque sui social – ma le autorità dicono che è legittima difesa contro i sassi e i fuochi d’artificio dei manifestanti, e rispondono con i lacrimogeni. Ieri mattina a Tbilisi sono stati cambiati i nastri delle telecamere sui lampioni, per cancellare le prove della brutalità delle forze dell’ordine, che sono però documentate dalle organizzazioni della società civile. Per le strade non ci sono soltanto i poliziotti, ma anche “gli uomini in nero”, armati e violenti, che aggrediscono e picchiano i manifestanti per conto del governo.
Un professore dell’Università di Tbilisi ha detto alla Bbc che le proteste non si fermeranno perché i georgiani hanno capito che “ora o mai più”, se non si ferma adesso Sogno georgiano il paese tornerà nell’orbita russa e poi riprenderselo non sarà facile, forse nemmeno possibile. Già adesso gli strumenti democratici sono indeboliti: la Corte costituzionale ha respinto ieri la richiesta dell’opposizione e della presidente, Salomé Zourabichvili, che sostiene le proteste e denuncia i brogli elettorali, di organizzare nuove elezioni. Il mandato della presidente è in scadenza, lei ha detto che non se ne andrà perché altrimenti la democrazia, in Georgia, non sopravviverà, ma Sogno georgiano ha già indicato il nome del sostituto.
I muri di Tbilisi sono pieni di scritte contro la Russia, di bandiere europee, della Nato, dell’Ucraina – ieri il Parlamento di Kyiv ha portato le bandiere georgiane in solidarietà ai manifestanti – mentre il governo utilizza le stesse parole del Cremlino contro l’ingerenza dell’occidente che fomenta le proteste. I manifestanti non si fermano, non possono farlo, ora o mai più: proprio come nella Rivoluzione delle rose, sempre in Georgia nel 2003 e sempre per via dei brogli elettorali, proprio come in Ucraina nel 2013 e nel 2014, i leader pro russi vogliono impedire un qualsivoglia avvicinamento all’Europa, lo stroncano inceppando i meccanismi democratici e utilizzando la forza contro i civili. Il compromesso potrebbe rivelarsi una resa e i georgiani, proprio come gli ucraini, hanno già visto che cosa vuol dire lasciare il campo alla Russia. La risposta alla domanda della signora che si è gettata contro i poliziotti – davvero vi faccio paura? – è sì: è il desiderio di Europa che più spaventa Vladimir Putin e per soffocarlo usa tutta la forza di cui è capace.